Sito non più aggiornato
Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
Il nuovo Arcivescovo di Catania, Monsignor Luigi Renna, incontra docenti, studenti e personale dell'Università
Al suo arrivo a Catania, il 19 febbraio scorso, ha confessato di sentirsi «come Abramo che lascia la sua terra per andare verso un luogo totalmente inesplorato». Da quel giorno, però, non si è fermato un attimo, perché «la prima cosa da fare è incontrare la città, conoscere le persone e parlare con loro». In poche settimane è stato nelle carceri e negli ospedali, ha incontrato studenti delle scuole e rappresentanti di altre comunità religiose, si è schierato - con toni inequivocabili- a fianco degli operai di una multinazionale che rischia di chiudere, ma ha anche scrutato i vari angoli della città etnea con la meraviglia e il sorriso del turista, intristendosi - ammette - una sola volta: «A Librino, dove ho potuto toccare con mano l’altissimo tasso di abbandono scolastico».
Dalla diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, Monsignor Luigi Renna all’inizio di quest’anno è stato nominato da Papa Francesco a capo dell’Arcidiocesi di Catania, «sette volte più grande», raccogliendo il testimone da Monsignor Salvatore Gristina, che ha guidato la Chiesa catanese per quasi un ventennio, e sotto l’ascendente di Felice Regano, anch’egli nato nella Diocesi di Andria, che fu vescovo etneo dal 1839 al 1861.
Per lui, che finora non era mai stato chiamato ad operare fuori dalla sua Puglia, questi primi giorni sono stati una continua scoperta: «Mi sono subito reso conto della grande vivacità di questo territorio e della sua Chiesa, pienamente incarnata in questa realtà – racconta, alla vigilia della tradizionale celebrazione della liturgia pasquale dedicata alla comunità accademica -.E poi veramente la storia e l’arte di Catania hanno degli elementi che sorprendono chi li scopre per la prima volta». È incuriosito dai sapori e dai colori della cucina catanese ma non rinuncerebbe mai agli strascinati con le cime di rapa «quelle tipiche di Minervino Murge, il mio paese natale» e, pur dichiarando un’antica e profonda ammirazione per gli scrittori siciliani, rivendica con malcelato orgoglio una caratteristica dei pugliesi: «Siamo fatti un po' così: siamo molto pratici, talvolta anche pragmatici, non facciamo passare troppo tempo tra il pensiero e l'azione».
Nella foto monsignor Luigi Renna, arcivescovo metropolita di Catania
«In questa terra ci sono istituzioni dalla storia importante, che hanno avuto un ruolo fondamentale per la vita di molte persone – aggiunge Monsignor Renna, tracciando un bilancio di due mesi di ‘cammino’ -. Tra queste eccelle senza dubbio l’Università. A volte però è difficile distinguere qual è la vera Catania: sono convinto che non dobbiamo ragionare con lo schema ‘aut…aut’, ma adottando lo schema ‘et…et’: Catania è insieme il suo ateneo e la pescheria, il centro storico e le sue periferie, è la realtà urbana con le sue sacche di secolarizzazione e la vivacità degli oratori dei paesi etnei. Ancora una volta, credo, solo il concetto di complessità può aiutarci a comprendere che non possiamo ridurre il tutto ad uno».
Monsignor Renna, cosa si attende dal primo incontro con i professori, il personale e gli studenti dell’Università di Catania?
«Voglio semplicemente mettermi in ascolto di una tradizione accademica che per me è davvero notevole: essa esprime delle eccellenze e forma delle persone che con le loro capacità e con quello che hanno appreso diffondono cultura e competenze un po’ in tutto il mondo. E poi so che sono ormai avviati da tempo dei percorsi di collaborazione con lo Studio teologico San Paolo e con altre realtà della Diocesi: in questo caso non si tratta di far altro che percorrere questa strada e, se possibile, potenziare alcuni aspetti che possono rendere la città sempre più ricca per qualità della vita».
Le celebrazioni di Natale e di Pasqua dedicate alla comunità accademica sono promosse dall’Ufficio per la pastorale universitaria che negli anni ha organizzato periodici incontri e momenti di riflessione rivolti in particolare agli studenti. Quali altri possibili percorsi lei intravede per poter rafforzare la collaborazione con l’Ateneo?
«Nella mia Diocesi non c’era un ateneo, ma in passato sono stato rettore del Pontificio Seminario Regionale Pugliese "Pio XI" di Molfetta, uno dei più grandi d’Italia con circa duecento alunni, e docente nella Facoltà teologica pugliese che è a pochi passi dall’Università di Bari, quindi ho esperienza di rapporti con le istituzioni accademiche. Sono convinto che saremo in grado di trovare tante occasioni di dialogo, ma punto di più su progetti concreti su alcune tematiche che ad iniziative estemporanee. Inoltre, vorrei fare tanto per la pastorale degli studenti: si tratta di giovani, cioè persone che si stanno aprendo alla vita, stanno formando la loro coscienza e vivendo le loro esperienze. E hanno bisogno che la città universitaria sia per loro una dimora accogliente, in grado di accompagnarli non soltanto nel loro percorso di studi, ma nel più complesso e completo percorso di vita. Al momento è ancora un sogno, ma le anticipo che vorrei realizzare un centro universitario diocesano di accoglienza per universitari: non un semplice pensionato, ma un luogo in cui possano sentirsi a casa, dove possano socializzare e studiare al tempo stesso. Ho già individuato alcune possibili location e ne parlerò presto con i miei collaboratori».
Il suo predecessore, Monsignor Gristina, è stato spesso ospite dell’ateneo, e in ogni occasione ribadiva che, a suo avviso, scienza e fede devono, ciascuna con il proprio percorso, impegnarsi negli sviluppi della ricerca umana privilegiando il dialogo laddove esistano posizioni diverse. Da studioso di Teologia morale, qual è la sua opinione sulle contrapposizioni, o le convergenze, che tuttora sussistono tra magistero della Chiesa e ricerca scientifica?
«Penso che le contrapposizioni riguardino ormai altri tempi. Mi piace molto l'espressione usata da papa Benedetto XVI nel famoso discorso di Regensburg: per Ratzinger, la fede allarga le potenzialità della ragione perché le permette di andare sempre al di là, di esplorare oltre il confine. Nella mia esperienza da docente e nel confronto con persone di cultura non ho mai riscontrato questo ‘muro contro muro’ che forse nel passato era frutto di irrigidimenti e di preconcetti che derivavano da certo illuminismo, quello della Rivoluzione francese, magari non quello più umanista della Costituzione partenopea del 1799. Laddove scienza e fede però non riescono ad avere la stessa visione, perché distinte metodologie di ricerca portano a risultati discordanti, occorre ricordarci che l’oggetto della ricerca è lo stesso: l’uomo. Ed è proprio sulla questione etica e sui problemi che riguardano la vita che siamo tutti chiamati a ricercare convergenze, come ci ricordano anche le drammatiche vicende di questi giorni legate alla guerra. Dobbiamo sempre interrogarci con forza: tutto ciò che l’uomo può fare effettivamente giova all’uomo stesso?».
Nei giorni scorsi si è recato in visita anche al Policlinico universitario e in altri ospedali della città, per incontrare personalmente i medici e gli operatori che in quei reparti hanno lavorato in prima linea per arginare l’epidemia da Covid. Che messaggio ha voluto affidare loro?
«In questi incontri ho voluto sottolineare l'importanza di continuare a lavorare sulla cura, al di là dell’emergenza. La cura è un concetto che va oltre la terapia, perché significa guardare a tutte le esigenze di ciascun individuo. Prendersi cura dei pazienti significa anche dare loro fiducia nella vita, fare prevenzione, assicurare un forte sostegno psicologico soprattutto ad alcune fasce di malati che di questo hanno particolarmente bisogno. Ho visto con piacere che in alcuni reparti effettivamente questo grande sostegno c'è già, e coinvolge sia gli amministratori che la componente medica e infermieristica ma anche tanti volontari che aiutano le strutture sanitarie ad andare proprio in questa direzione, quella di curare le persone, aumentando la qualità della vita. Mi ha colpito molto, ad esempio, la ‘banca del latte’ che è stata istituita nell’azienda ospedaliera Garibaldi, a supporto delle donne che si vedono sostenute nella fase dell'allattamento fino allo svezzamento».
Più volte lei ha detto di essere affascinato dagli scrittori siciliani. Da chi, in particolare, e per quali motivi?
«Durante la mia adolescenza ho letto tantissimo, e ho coltivato un intimo rapporto con la lettura, essendo stato direttore di una biblioteca e dell'archivio della mia Diocesi. Gli autori che mi hanno affascinato tantissimo sono stati anzitutto Sciascia, Verga e Pirandello: a loro devo il merito di avermi aperto un orizzonte più vasto sulla natura e sull’umanità del popolo siciliano. Inoltre, mi ha incuriosito il loro rapporto con la fede, che scaturisce ad esempio da alcune novelle di Pirandello. Ma anche in Sciascia ammiro il modo con cui egli stigmatizza un certo modo di essere Chiesa. E nei Malavoglia di Verga, la stridente contrapposizione tra una barca chiamata Provvidenza e dall'altra un rassegnato destino da ‘vinti’ che effettivamente nega la Provvidenza. Non ho studiato dei lavori monografici su questi aspetti, ma cercherò il modo per approfondirli».
Cosa dirà ai giovani iscritti all’Università di Catania, al termine di un momento così difficile per loro, come la pandemia, nel quale hanno pagato un caro prezzo, in termini di socializzazione, di presenza e animazione negli spazi universitari, di crescita secondo il criterio tradizionale dello scambio tra studenti e docenti? E quale incoraggiamento, da presidente della commissione episcopale per i Problemi sociali e lavoro, giustizia e pace della CEI, può rivolgere loro per il futuro?
«Io credo che il proprio futuro lo so possa scoprire nei valori in cui si crede. Se poi si ha fede, soprattutto in Dio. È vero, c'è bisogno di creare molto attorno a questi giovani, ma dobbiamo ricordare loro ogni giorno che, come sosteneva don Tonino Bello, la ricchezza più grande risiede nella loro intelligenza e nel loro cuore. La pandemia ha un po’ tarpato le ali a tanti ragazze e ragazzi, ma è anche vero che molti altri hanno vissuto questo tempo come una risorsa. Si sono messi a disposizione degli altri, hanno aiutato la propria famiglia, hanno dato un sostegno alle persone anziane e le hanno tutelate. Hanno cioè dimostrato di essere ben diversi da quegli abiti che un certo consumismo ha voluto cucire loro addosso, avallando paradigmi per cui un giovane è davvero tale soltanto se il sabato si ritira a casa dopo le cinque del mattino. Io ho sempre il sospetto che il consumismo abbia voluto neutralizzare la coscienza e l’impegno politico dei giovani, ma questo lo diceva già Pasolini. Essere ‘giovani migliori’, e chiunque può realmente diventarlo, significa quindi essere capaci di attingere a risorse nuove per affrontare problemi nuovi, come è avvenuto dopo le tragedie della Seconda Guerra Mondiale. Per questo dobbiamo affidare a nostri giovani un po' di più responsabilità, specie quelle che gli adulti e gli anziani continuano a tenere troppo strette a sé, anche nella dimensione dell'impegno politico».