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L’intervento della dott.ssa Carla Vasta, assegnista di ricerca di Diritto commerciale al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania
Geniale, irriverente, sfacciato: in un nome solo Banksy. Nessuno sa chi si celi dietro lo street artist che ha fatto conoscere al mondo intero la bellezza e la potenza espressiva di un genere pittorico per troppo tempo disdegnato e accusato di imbrattare solamente i prospetti urbani.
Definire le opere di Banksy dei semplici graffiti sarebbe riduttivo; si tratta di veri e propri manifesti politici che, con la vivacità dei colori e, in taluni casi, la crudezza delle immagini, rappresentano un j’accuse alla civiltà moderna e globalizzata. Il reietto, il dimenticato dalla società, il ripugnante diventano suoi modelli e si trasformano in proteste visive del mondo di oggi. La bambina con il salvagente, le scimmie che affollano un consesso parlamentare, i topi vengono scelti per mostrarci come l’uomo del secolo più progredito si stia involvendo, perdendo la sua umanità e il suo raziocinio.
Le opere di Banksy sono quanto di più lontano possa esserci dal concetto di arte noto agli antichi greci come sinonimo di armonia e grazia, eppure la loro carica espressiva ed emotiva non permette di considerarle arte di “serie b”. Basti pensare all’opera comparsa su un muro di Venezia, raffigurante un bambino naufrago con in mano una fiaccola di avvistamento, che simbolicamente viene ricoperto dall’acqua alta della laguna o al disegno in ricordo degli scontri razziali negli Stati Uniti, in cui una flebile candela su sfondo nero comincia a bruciare la grande bandiera a stelle e strisce, o ancora al tributo ai sanitari, nuovi super eroi nell’era della pandemia mondiale.
Banksy ha in sé le caratteristiche di un artista di strada e di un moderno Robin Hood (ha recentemente dichiarato di aver acquistato con i soldi guadagnati dalle vendite delle sue opere, nelle più famose case d’asta internazionali, un’imbarcazione da utilizzare per il soccorso dei migranti nel Mediterraneo), con in più la capacità senza precedenti di catalizzatore mediatico globale.
Il 'Naufrago bambino', foto profilo Instagram @bansky
La natura anonima dell’artista tra aste e copyright
È indubbio, però, che parte del suo fascino sia legato alla natura anonima, al mistero che aleggia sulla sua vera identità. Tante ipotesi sono state avanzate: voci dicono che sia originario di Bristol e che sia il frontman di un gruppo rock, altri sostengono che si tratti di un collettivo di diversi writers o di una donna. Addirittura la Queen Mary University ha fatto ricorso al cosiddetto “profilo geografico criminale”, che altro non è che il metodo utilizzato dalla polizia per trovare i criminali recidivi, al fine di scovare nuovi indizi. In tutti questi anni, durante i quali Banksy si è trasformato in un fenomeno noto anche ai non addetti al mondo dell’arte, non ci sono state né conferme né smentite e, in fondo, forse, nessuno vuole in realtà sapere chi sia veramente, perché la realtà è spesso più deludente dell’immaginazione.
Mantenere l’anonimato ha per Banksy i suoi vantaggi, non ultimo le quotazioni record alle aste di tutte le sue opere, ma ha anche inevitabili problemi, specie di natura giuridica. La scelta di non rivelarsi preclude all’artista la possibilità di ricorrere al diritto d’autore e alla tutela che la normativa del Copyright riconosce a chi realizzi “opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alla architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma d’espressione” (così recita l’art. 1 della l. 22 aprile 1941, n. 633).
La normativa europea
Secondo la legge, uniforme a livello europeo, l’artista, in quanto tale, dispone di diritti morali, che gli consentono di decidere se e quando pubblicare la propria opera, di rivendicarne la paternità e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione a danno della stessa. Si tratta di diritti posti a tutela della personalità dell’autore, inalienabili e illimitati nel tempo.
A questi si aggiungono i diritti patrimoniali, cedibili a terzi, che attengono allo sfruttamento economico dell’opera e che garantiscono all’autore un compenso per ogni utilizzazione della stessa.
Il sistema di protezione previsto dalle norme presuppone, però, che l’artista si renda noto, provando di essere l’artefice dell’opera d’ingegno da tutelare contro utilizzi non autorizzati. Anche quando l’autore decida di utilizzare uno pseudonimo in alternativa al nome e al cognome, facoltà che la legge gli riconosce, ai sensi dell’art. 8, comma 2, l. 22 aprile 1941, n. 633 (celebre il caso letterario di Elena Ferrante), in caso di contestazione, dovrà comunque rivelarsi e far riconoscere in giudizio la sua qualità, per difendere i propri diritti.
Tutto ciò per Banksy e per la sua irrinunciabile volontà di rimanere nell’ombra non è possibile. Egli è consapevole di non poter usufruire della tutela del Copyright fin quando rimarrà anonimo e ha deciso, allora, di ricorrere ad un altro istituto giuridico, non coincidente con il diritto d’autore e con le sue finalità. L’ambito che viene coinvolto nella vicenda del writer inglese non è, infatti, quello del Copyright, bensì quello del Trademark. I graffiti dello street artist, pur essendo a pieno titolo espressione delle arti figurative, non sono qualificati giuridicamente come opere artistiche, ma come marchi.
Il marchio “Banksy”
Nel 2014, La Pest Control LTD, società con sede legale in Inghilterra, che dichiara di essere incaricata in via esclusiva dell’amministrazione, gestione e tutela dei diritti dell’artista che opera sotto lo pseudonimo di Banksy, ha provveduto a registrare il marchio denominativo “Banksy” e i marchi figurativi rappresentati dalle opere più celebri dell’artista, tra cui “Girl with balloon” e “The flower Thrower”. Il marchio, a differenza del diritto d’autore, può essere registrato da chiunque, senza dover provare la paternità dell’immagine utilizzata, così superando l’ostacolo per Banksy di doversi rivelare, ma la sua funzione è totalmente differente. Il marchio consente a un’impresa di contrassegnare i beni da essa messi sul mercato, svolgendo una funzione distintiva a favore del consumatore, in grado di riconoscere e di scegliere tra prodotti affini, ma di diversa provenienza.
Fino ad oggi, il ricorso alla tutela del Trademark ha permesso a Banksy, che è il vero soggetto che si nasconde dietro la Pest Control LTD, di monitorare l’utilizzo commerciale delle sue opere, vietando qualsiasi attività di merchandising compiuta da terzi sfruttando le sue raffigurazioni o il suo nome, in quanto qualificabili come contraffazione di marchio. Nel 2019, ad esempio, la 24Ore Cultura s.r.l., organizzatrice di una personale dedicata a Banksy al MUDEC di Milano, è stata citata in giudizio dalla Pest Control LTD per aver riprodotto, senza il consenso della titolare del marchio, le immagini registrate su prodotti di cancelleria venduti in occasione della mostra. In quella occasione il Tribunale ha condannato la società italiana per avere utilizzato illecitamente il marchio altrui, apponendolo a agende, segnalibri e taccuini messi in vendita presso il pubblico.
Il marchio Banksy
Il verdetto dell’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale
Qualcosa però potrebbe cambiare dopo la pronuncia dell’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO), che con il verdetto reso lo scorso 14 settembre, ha dichiarato che le registrazioni dei marchi raffiguranti le opere di Banksy sono state compiute in mala fede e sono per questo nulle, ai sensi del diritto europeo sui marchi.
La decisione scaturisce dalla richiesta di cancellazione del marchio “The flower Thrower” presentata nel 2019 da una piccola società inglese, la Full Color Block, produttrice di cartoline d’auguri, che ha adoperato per i suoi biglietti la famosa immagine del lanciatore di fiori, sostenendo che non vi sia contraffazione, in quanto la registrazione dell’immagine è stata compiuta dalla titolare del marchio, la Pest Control LTD, non con le finalità proprie riconosciute dalla normativa dei marchi, bensì solo per impedire a terzi qualsiasi utilizzo su di essa.
Il pop-up store a Croydon
La vicenda è balzata agli onori della cronaca per volere dello stesso Banksy che, con il suo distintivo atteggiamento canzonatorio nei confronti delle regole, ha aperto, in risposta, un pop-up store a Croydon, a sud di Londra, (con l’icastico nome di Gross Domestic Product - Prodotto Interno Lordo) per cercare di dimostrare “che stava attivamente utilizzando il suo marchio per produrre e vendere la propria merce”, aggiungendo che “un’azienda di cartoline d’auguri sta contestando il marchio fondato sulla mia arte nel tentativo di prendere in custodia il mio nome, così che loro potranno vendere legalmente il loro finto merchandising marchiato Banksy” (questo il messaggio che compariva sulla vetrina del negozio, in realtà mai aperto, perché tutte le vendite sono state gestite online).
Questa mossa però, secondo l’EUIPO, avrebbe solamente reso evidente che, quando la Pest Control LTD ha registrato il marchio nel 2014, Banksy “non aveva alcuna intenzione” di utilizzarlo a scopi commerciali. Solamente nel 2019, nel momento in cui la Full Color Block ha adoperato l’immagine del the flower Thrower per le sue cartoline, l’artista ha cominciato a vendere i suoi prodotti, al solo fine di non perdere il diritto di utilizzare il marchio. Infatti, per le leggi marchi di tutto il mondo, EU compresa, l’uso illecito del terzo ricorre solo se il titolare utilizza il segno da lui registrato come marchio, cioè lo appone su prodotti che commercializza.
Anonimato sì, anonimato no…il diritto del marchio
Per l’EUIPO, l’intento di Banksy “non era quello di usare il marchio per mettere in vendita beni e per ritagliarsi una nicchia del mercato, ma solo quella di aggirare la legge. Queste azioni sono in contrasto con le pratiche oneste”. L’anonimato non c’entra, l’esclusiva sul marchio non è mai stata utilizzata per svolgere l’attività d’impresa a cui è preordinata e, per questo motivo, viene desunto che la registrazione sia stata compiuta in malafede.
A detta dell’Ufficio europeo, il ricorso alla normativa sul Trademark denota, in realtà, la volontà dell’artista di aggirare le leggi sul diritto d’autore, in forza delle quali Banksy “non può essere identificato come il proprietario indiscutibile dell’opera […] perché la sua identità è nascosta, e di conseguenza non si può stabilire senza contestazioni che l’artista abbia dei diritti d’autore su un’opera di street art”. L’unica possibilità è la perdita dell’anonimato, ma questo, a detta anche dell’EUIPO, “lo danneggerebbe”.
Si tratta di un verdetto ragionevole e neppure molto sorprendente, che si è limitato a ricordare che il diritto di marchio non può essere visto come surrogato del diritto d’autore, perché trattasi di discipline differenti, con finalità non coincidenti. Da un lato vi è l’esigenza di proteggere le opere frutto dell’ingegno, dall’altro quella di incentivare l’attività d’impresa.
È chiaro che per Banksy si tratta di un duro colpo; i suoi diritti di proprietà intellettuale rischiano di non poter essere più difesi, mediante il diritto di marchio, contro terzi che vogliano utilizzare le sue immagini a fini commerciali. La sola Full Color Block non ha perso tempo e ha già contestato i marchi di altre sei opere.
Il writer ha due mesi per impugnare la decisione e presentare ricorso. Chissà se questa sarà la volta buona per decidere di ricorrere alla tutela del Copyright, palesandosi al mondo.