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Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
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Intervento della prof.ssa Erminia Conti del Dipartimento di Scienze biologiche geologiche e ambientali
Il 22 maggio 1992 venne firmata a Nairobi in Kenya la Convenzione sulla Diversità Biologica con l’obiettivo di tutelare la varietà biologica del pianeta. Nel 2000 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite decise di istituire proprio questo giorno come la Giornata Mondiale della Biodiversità e da allora ogni anno questa data ci porta a ricordare l’importanza della biodiversità e della sua tutela.
Ma cosa vuol dire veramente biodiversità ? Il termine, come contrazione di diversità biologica, venne introdotto per la prima volta da Walter G. Rosen nel 1986 durante un convegno da lui organizzato a Washington. Da allora una pletora di documenti, articoli scientifici, congressi, seminari sono stati realizzati con l’unico scopo di fornire una definizione esaustiva del concetto.
La maggior parte delle volte la parola biodiversità evoca semplicemente l’idea di un elenco delle specie esistenti; il termine riguarda invece la varietà di tutte le forme viventi sulla Terra (è da sottolineare la differenza tra il numero di specie note e descritte, circa due milioni, e quello delle specie stimate, da 4 a 100 milioni): dai singoli geni, agli individui, alle popolazioni, alle comunità e agli ecosistemi e comprende anche i processi evolutivi, ecologici e culturali che sostengono la vita.
La biodiversità svolge un ruolo chiave per la nostra esistenza, la apprezziamo per molte ragioni, alcune utilitaristiche, altre intrinseche. Ciò significa che valutiamo la biodiversità sia per ciò che fornisce all’uomo, sia per il valore che ha di per sé. I valori utilitaristici includono i molti bisogni di base che gli esseri umani ottengono dalla biodiversità come cibo, riparo e materie prime, da fibre tessili a combustibili. Per non considerare, poi, che gli ecosistemi forniscono servizi cruciali come l'impollinazione, la dispersione dei semi, la regolazione del clima, la purificazione dell'acqua, il ciclo dei nutrienti e il controllo dei parassiti agricoli. La biodiversità ha un valore culturale anche per gli esseri umani, ad esempio per ragioni spirituali o religiose o per applicazioni farmaceutiche.
Il valore intrinseco della biodiversità è invece indipendente da ciò che essa può fornire. E’ più un concetto filosofico, che può essere considerato il diritto inalienabile di esistere. E questo è talmente vero che a febbraio di quest’anno il Parlamento Italiano ha aggiunto all’articolo 9 della Costituzione, tra i princìpi della Repubblica, quello della tutela dell’ambiente, della diversità e degli ecosistemi “anche nell’interesse delle future generazioni”. Quest’ultimo aspetto ci riporta al concetto di sviluppo sostenibile come citato nel Rapporto delle Nazioni Unite, “Our Common Future” del 1987, noto come Rapporto Brundtland: “lo sviluppo che soddisfa i bisogni di oggi senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i loro.”
Ogni anno il Segretariato della Convenzione sulla Diversità Biologica annuncia uno slogan per la Giornata della Biodiversità. Quest’ anno è: “Costruire un futuro condiviso per tutta la vita”. Il valore della biodiversità può quindi essere compreso attraverso la lente delle relazioni che formiamo e perseguiamo tra di noi e con il resto della natura. Possiamo valutare la biodiversità per il modo in cui forgia chi siamo, le relazioni reciproche da intraprendere, la giustizia sociale. Questi valori relazionali comportano benessere, responsabilità e connessione con l'ambiente e con tutti gli esseri viventi.
Tale slogan vuole essere anche un trampolino di lancio per il programma post-2020 ed in particolare per l’Agenda 2030 concernente lo sviluppo sostenibile, le convenzioni relative alla biodiversità e altri processi relativi ai servizi ecosistemici. Si tratta quindi di creare una vera coscienza ecologica sensibile e consapevole delle forti interconnessioni che esistono sulla Terra dove la scomparsa di una specie non è una semplice perdita ma è l’alterazione del funzionamento del nostro pianeta. Il 2022 rappresenta pertanto un'incredibile ed irripetibile opportunità per spingere i leader mondiali all'azione.
Quest’estate, infatti, è prevista una loro riunione a Kunming per prendere parte alla Cop15, quindicesima conferenza della Convenzione per la Biodiversità che ha lo scopo di concludere i lavori negoziali e definire il Post-2020 Global Biodiversity Framework. Questo palinsesto dovrà determinare l’azione globale da intraprendere nei prossimi 10 anni per la tutela della biodiversità e l’implementazione di due protocolli, il protocollo di Cartagena sulla biosicurezza (per la protezione dai rischi derivanti dal trasferimento, dalla manipolazione e dall’uso degli organismi geneticamente modificati ottenuti dalle moderne tecniche di biotecnologia) ed il protocollo di Nagoya sulla giusta ed equa condivisione dei benefici che derivano dall’utilizzazione delle risorse genetiche.
Bisogna fare presto, il nostro Pianeta non ci consente più di perdere ancora del tempo prezioso anche perché “Nessuno” dei 20 obiettivi che ci si era posti ad Aichi nel 2020 è stato raggiunto! Pertanto bisogna invertire la rotta entro il 2030.
E perché proprio il 2030? La natura non è solo il nostro principale fornitore, è il nostro unico alleato contro la crisi climatica. A meno che i leader mondiali non intensifichino urgentemente i loro sforzi per proteggere la natura, le temperature globali potrebbero superare già nel 2030, cioè un decennio prima del previsto, il limite di 1,5°C fissato dall'accordo di Parigi. Qualsiasi ulteriore aumento delle temperature medie annue potrebbe determinare danni irreversibili al nostro pianeta, sicuramente visto l’avanzare della desertificazione.
Nella bozza del palinsesto per il Post-2020 sono già previsti 21 nuovi obiettivi tra cui: aumentare del 15% l’estensione e l’integrità degli ecosistemi naturali, garantire che almeno il 20% degli ecosistemi degradati siano in fase di ripristino, garantire che a livello globale almeno il 30% delle aree terrestri e marine, ed in particolare quelle di importanza strategica, siano conservate attraverso sistemi di aree protette gestiti in modo efficace. A questi vanno aggiunti l’ attenzione alle specie selvatiche in rapporto alla salute umana, la riduzione delle specie invasive del 50%, la riduzione dei pesticidi di due terzi e l’eliminazione totale dell’inquinamento da plastica.
La drammatica perdita di biodiversità a cui stiamo assistendo e la necessità di evitare una ulteriore scomparsa di specie ed ambienti unici è la sfida più forte alla quale siamo chiamati a rispondere. Nel 2021 a Marsiglia, lo IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) ha dichiarato come estinte più di 900 specie di animali. Un numero elevato che probabilmente rappresenta una sottostima, sia per la difficoltà di ricerca sia per la poca conoscenza riguardo alcuni gruppi tassonomici, considerati “minori”. L’accelerazione di questo processo vede l’uomo come principale attore: sovrasfruttamento delle risorse, perdita e/o frammentazione di habitat, cambiamenti climatici, inquinamento e introduzione di specie alloctone sono alla base del processo.
Secondo i rapporti della FAO, nell’ultimo decennio sono stati distrutti ogni anno mediamente 13 milioni di ettari di foreste (una superficie pari a quella della Grecia)! Inoltre bisogna considerare che le attività antropiche registrano effetti negativi di lunga durata, spesso addirittura permanenti, sugli ecosistemi. La constatazione della scomparsa di una specie equivale alla perdita di un preciso tassello del mondo vivente che si è evoluto ed adattato in un determinato ambiente: rappresenta dunque una grave perdita per la biodiversità del pianeta.
L’Italia non è affatto esente dalla perdita di risorse preziose: il nostro Paese rappresenta uno dei più importanti serbatoi di biodiversità vegetale e animale del continente europeo. La sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, l’estensione della sua superficie in lunghezza ed uno sviluppo costiero elevato hanno contribuito a creare una molteplicità di ambienti diversi e unici, qualificando l’Italia come culla della vita di circa metà delle specie vegetali e un terzo di quelle animali presenti oggi in Europa. In Sicilia questo fenomeno è ancora più evidente data la sua condizione di insularità e gli effetti dei processi di desertificazione: aree che un tempo erano riconosciute come naturali con dune elevate (vedi l’area di Capo Isola delle Correnti) e che ospitavano una fauna particolare, oggi non esistono quasi più con la conseguente perdita di tutte le specie che vi abitavano.
Come ha sottolineato il segretario generale dell’Onu, António Guterres, “man mano che la nostra popolazione e le nostre esigenze continuano a crescere, continuiamo a sfruttare le risorse naturali – comprese le piante e gli animali selvatici e i loro habitat – in modo insostenibile. Sfruttando eccessivamente la fauna selvatica, gli habitat e gli ecosistemi, l’umanità sta mettendo in pericolo sia se stessa che la sopravvivenza di innumerevoli specie di piante e animali selvatici. Oggi, quasi un quarto di tutte le specie del Pianeta è in pericolo di estinzione. Nella Giornata mondiale della fauna selvatica (che ricorre il 3 Marzo di ogni anno), ricordiamo a noi stessi il nostro dovere di preservare e utilizzare in modo sostenibile la vasta varietà di vita sul pianeta. Promuoviamo un rapporto più attento, premuroso e sostenibile con la natura. Un mondo fiorente di biodiversità fornisce le basi di cui abbiamo bisogno per raggiungere i nostri obiettivi di sviluppo sostenibile”.
Ma soprattutto ricordiamo sempre ciò che nel 1852, Capo Seattle pronunciò in risposta alla richiesta del Governo degli Stati Uniti d’America, relativamente alla volontà di comprare le terre del suo popolo, gli indiani d’America: "La Terra su cui viviamo non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli”