Sito non più aggiornato
Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
L'intervento di Daniela Fisichella, docente di "Diritto delle organizzazioni internazionali e diritti individuali negli Obiettivi di Nazioni Unite e Sviluppo Sostenibile" del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania
Tra le numerose giornate mondiali evocative di diritti umani, il 2 aprile è forse una data poco significativa per tanti. Viene celebrata la Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, con un’intitolazione che, da sola, lascia intravedere l’enormità del fenomeno, che coinvolge moltissime persone, in quanto colpite dal disturbo specifico o perché da caregivers si prendono cura di persone autistiche, quasi sempre in famiglia.
Questa giornata mondiale è stata istituita con Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite 62/139 del 18 dicembre 2007, e trae origine tanto da un cospicuo patrimonio di atti giuridici preesistenti, di hard come di soft law, quanto dall’osservazione della percentuale crescente di autismo nei bambini, senza differenze di rilievo per collocazione geografica, razza, genere, status socio-economico. Se l’autismo non è una condizione di salute che interessa un numero marginale di individui, è invece un problema esteso che riscuote sensibilità e interesse piuttosto limitati. Considerato un insieme non omogeneo di disturbi del neurosviluppo, caratterizzanti il sistema delle interazioni sociali e della comunicazione ancor più che della comprensione intellettiva, sul piano sanitario l’autismo è inquadrato tra le patologie di salute mentale: l’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V) del 2013 ha innovato profondamente la qualificazione dell’autismo, riunendone le diverse manifestazioni sotto un’unica etichetta di disturbo dello spettro autistico. Tale modifica di approccio è stata orientata ad aumentare le possibilità di diagnosi partendo da una grande varietà di sintomi, dei quali va misurata l’intensità al fine di ricostruire un quadro diagnostico attendibile e individuare terapie mirate. Considerato una disabilità e catalogato tra i disturbi di salute mentale, l’autismo è sempre stato colpito da un forte stigma. Già la disabilità in genere attira spesso forti resistenze all’accettazione e ritardi nel trattamento, ma la disabilità mentale raccoglie reazioni negative in misura ancora più evidente: l’autismo, una condizione spesso individuata con difficoltà e che non si lascia delimitare da un quadro sanitario chiaro e prevedibile, si scontra innanzi tutto con l’assenza di una consapevolezza del problema in sé.
L’impegno delle organizzazioni internazionali verso la sensibilizzazione di ogni forma di disabilità è sempre stato apprezzabile. Già il Patto delle Nazioni Unite del 1966 sui diritti economici, sociali e culturali, all’Art. 12, par.1, fa riferimento al diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire. Scegliendo anch’essa l’approccio alla disabilità, la Risoluzione 62/139 richiama sia la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, sia la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità del 2006 ̶ entrambe adottate dalle Nazioni Unite ̶ ed evidenzia il nesso stringente tra garanzia di tutti i diritti fondamentali per le persone affette da ogni forma di disabilità, e realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio del 2000 ̶ oggi confluiti nella più ambiziosa Agenda 2030 del 2015 sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
Tra le disabilità, l’autismo è forse una manifestazione che più di altre evidenzia la mancata accettazione della diversità, che sta alla base di un universale divieto di discriminazione posto a tutela dei diritti umani fondamentali. L’Art. 17 della Convenzione del 2006 dichiara infatti che “Ogni persona con disabilità ha diritto al rispetto della propria integrità fisica e mentale su base di uguaglianza con gli altri” e già l’Art. 1 della Convenzione riconosce il diritto di ogni persona affetta da disabilità alla partecipazione piena ed effettiva in società, così come chiunque altro (on an equal basis with others). È evidente come, per rendere effettivo l’accesso ai loro diritti, per le persone colpite da disabilità gli stati e le comunità sociali debbano predisporre strumenti specifici ed agevolazioni che tengano conto, minimizzandolo, del deficit iniziale che le pone nettamente in svantaggio rispetto agli altri. Per coloro che sono affetti da disturbi dello spettro autistico è già causa di grande disagio la mera interazione con l’esterno; sebbene non esista un modello unico di disturbi autistici e pur potendo essi palesarsi in soggetti con capacità intellettive superiori alla media - così per la sindrome di Asperger, che ha anche una propria giornata celebrativa il 18 febbraio – una condizione comune è quella dell’isolamento, della difficoltà a comunicare con l’esterno, dello smarrimento paralizzante dato da variazioni anche semplici nella routine quotidiana, dell’incapacità di decodificare la prossemica. Tra le malattie non trasmissibili, l’autismo presenta insidie specifiche, che spesso ne ritardano l’individuazione e di conseguenza il trattamento, finendo per relegare all’(auto)isolamento, spesso sin dall’infanzia, la persona colpita.
Gli strumenti internazionali che cercano di sensibilizzare la comunità internazionale e la società civile alla consapevolezza dell’autismo sono molteplici: perché per intervenire occorre innanzi rendersi conto, comprendere e poi reagire. Le persone autistiche incontrano limiti insormontabili per attività ordinarie, banali. Diventa allora davvero difficile assicurare loro un’istruzione adeguata, l’accesso al mondo del lavoro, la partecipazione politica: perché l’autistico non richiede soltanto trattamenti sanitari mirati sulla sua condizione unica, ma determina in capo alla società in cui vive uno sforzo complessivo per l’integrazione. La società deve innanzi tutto imparare a ‘dialogare’ con l’autismo nelle forme eterogenee in cui si presenta, accettando la tipicità di ogni singolo individuo affetto da tale condizione invalidante. Con Risoluzione WHA67.8 del 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo aver richiamato numerosi atti giuridici internazionali pertinenti, ivi comprese alcune sue risoluzioni precedenti su salute mentale e disabilità, ha provato a tracciare un quadro bilanciato di misure indicative da attuare per ridurre le discriminazioni verso le persone affette da autismo e affinare un approccio mirato di trattamento nel lungo periodo. Se ad occuparsi degli autistici sono soprattutto i familiari, poiché i sistemi nazionali socio-sanitari sono spesso non sufficientemente attrezzati allo scopo, occorre allora migliorare l’assistenza complessiva, non solo quella sanitaria, alleggerendo il carico della cura dei familiari e, al tempo stesso, valorizzando le capacità dell’autistico: che, anche quando (molto) limitato nelle proprie capacità, possiede comunque un patrimonio di abilità da esprimere, intrappolato in una condizione di disadattamento, dissociazione, distanza abissale dalla società circostante.
In quest’impegno orizzontale verso la considerazione dell’autismo, nel 1992 il Parlamento europeo ha adottato una Carta per le persone con autismo, che a sua volta richiama la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1971 sui diritti delle persone con ritardo mentale e quella del 1975 sui diritti dei portatori di handicap. La Carta del Parlamento europeo scandisce 19 punti ai quali corrisponde un pari numero di diritti umani fondamentali da garantire alle persone affette da autismo, in un’ottica che ne assicuri il più possibile la scelta individuale, in autonomia e senza coercizioni, ovviamente per quanto reso possibile dalle diverse condizioni di disabilità determinate dall’autismo. Ad essa ha fatto seguito nel 2015 una Dichiarazione scritta del Parlamento europeo sull’autismo, in cui è sottolineata l’importanza cruciale di una sua diagnosi precoce e, pur consapevole che non esista una vera cura per l’autismo, la ricerca medico-scientifica ha però dimostrato che la sua individuazione tempestiva consente spesso di contenere i danni nel tempo, aiutando così la persona affetta a conservare meglio e più a lungo il proprio livello di autonomia. Il Parlamento europeo ha quindi sollecitato Commissione e Consiglio ad uno sforzo congiunto verso un approccio olistico e una strategia europea, alimentati da scambi regolari di informazioni e prove scientifiche per lo sviluppo di buone pratiche europee. Il 2015 è stato un anno significativo anche nell’esperienza regolativa italiana dell’autismo, con l’adozione della legge 18 agosto 2015, n. 134, “Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie”: un atto programmatico, per un’assistenza individualizzata delle persone con disturbi dello spettro autistico, che coinvolga opportunamente le regioni sia nell’impegno verso lo sviluppo di una rete sanitaria territoriale adeguata, sia nella predisposizione di strutture semiresidenziali e residenziali con competenze specifiche per l’accoglienza di minori, adolescenti e adulti, nonché per la formazione di varie categorie professionali capaci di individuare, comprendere e affrontare questo tipo di disabilità anche per aiutare l’individuo che ne è affetto a entrare in contatto con la società in cui si trova.
Un’attenzione specifica sembra destare la Risoluzione 2353 (2020) del Consiglio d’Europa, ‘Supporting people with autism and their families’, adottata dall’Assemblea Parlamentare il 4 dicembre 2020: “Autism can be understood as a natural variation of human diversity as well as a disability.” (par. 2). E qui sembra essere racchiusa tutta la forza dirompente dell’approccio del diritto internazionale contemporaneo all’autismo, così come ai diritti umani senza distinzioni: le differenze vanno tutelate, garantite, protette e lì dove si aprono i rischi di esclusione ed emarginazione occorre elaborare strumenti specifici d’intervento, per riequilibrare pari condizioni con interventi correttivi. L’unica discriminazione legittimata dal diritto internazionale sui diritti umani è quella che, contrastando gli svantaggi esistenti con misure appositamente predisposte per ridurre la penalizzazione iniziale, riesce a riprodurre condizioni di eguaglianza. Essa non è tuttavia unidimensionale, e particolarmente le condizioni delle persone affette da disturbi dello spettro autistico confermano come solo un approccio ritagliato su misura e non generico può dare risultati apprezzabili.
Nel collegamento funzionale agli Obiettivi dell’Agenda 2030, le Nazioni Unite hanno lanciato nel 2019 una Strategia d’inclusione della disabilità ed il Rapporto 2020 del Segretario generale evidenzia l’aspetto integrato di questa strategia tanto nell’ambito specifico dell’approccio alle disabilità nelle loro molteplici diversità, quanto al livello più esteso della realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e del principio cardine secondo il quale “nessuno sarà lasciato indietro”. La giornata mondiale sulla consapevolezza dell’autismo è stata consacrata da pochi anni, volta a stimolare la percezione individuale di questa condizione così fortemente limitativa, eppure così sfuggente per varietà ed eterogeneità dei sintomi: che sono talvolta così complessi e contrastanti per una visione d’insieme, che anche la rilevazione della compromissione della salute mentale risulta incerta. Nella valorizzazione e il rispetto di ogni diversità, anche questa giornata del 2 aprile ci spinge a riflettere: nessuno sarà lasciato indietro solo se impareremo che non possiamo procedere ad un unico passo, perché non sono certo omologazione e univocità i tratti distintivi del progresso, qualsiasi cosa esso sia nell’interpretazione generazionale che si può dare. Però ciascuno può dare il proprio contributo, commisurato a quelle peculiarità individuali che impreziosiscono la comunità di cui si è parte.