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Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
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Una riflessione dal diario di bordo del direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura, prof. Enrico Foti
I 50 anni della Facoltà di Ingegneria, festeggiati qualche giorno fa nella sede della Cittadella Universitaria con un evento intimo e vissuto con autentica emozione, al quale non è tuttavia mancata la graditissima presenza dei rappresentanti delle più importanti istituzioni locali e regionali, si inscrivono nella plurisecolare storia del nostro Ateneo, aggiungendovi un piccolo, ma importante tassello.
E si inscrivono, come ho fatto notare con orgoglio ed emozione durante la celebrazione dell’evento, anche nella mia storia personale, che, da ex studente di questo Ateneo e della Facoltà di Ingegneria, mi ha visto oggi, da direttore del DICAR - Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura, come padrone di casa e organizzatore dell’evento insieme al collega prof. Giovanni Muscato, Direttore del DIEEI - Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Elettronica e Informatica, l’altra “anima” della ex Facoltà di Ingegneria.
Questi 50 anni costituiscono, dunque, una tappa importantissima innanzitutto per i nostri laureati, che con il loro lavoro e le loro competenze hanno certamente contribuito alla crescita economico-sociale di Catania, della Sicilia e anche di realtà aziendali e istituzioni presenti sul territorio nazionale e internazionale, come hanno dimostrato, durante il medesimo evento celebrativo, le autorevoli testimonianze provenienti da oltreoceano, talune attraverso collegamento da remoto, di ex allievi, che hanno completato tutto il percorso di studi presso la nostra facoltà e che poi hanno proseguito il loro percorso professionale presso grandi aziende internazionali, arrivando a ricoprire prestigiosamente cariche direttive di primissimo piano, che li vedono oggi al centro di attività produttive di interesse globale.
E dunque questi 50 anni non sono solo un numero che nell’evoluzione di un’istituzione è già di per sé un numero importante, un numero pieno, un numero indice di una realtà ben consolidata, riconosciuta e accreditata ma sono anni davvero intensi e pregnanti di sviluppo.
Ricordiamoci, tanto per fare l’esempio più eclatante, che questi 50 anni sono stati attraversati dalla rivoluzione di internet e da tutto il conseguente sviluppo tecnologico, che, con rapidità supersonica, ha proiettato quella che era la nostra “facoltà di ingegneria” nel “villaggio globale”, nel confronto con il mondo e l’ha fatta crescere esponenzialmente; e ciò grazie soprattutto al costante impegno delle donne e degli uomini della docenza e del personale tecnico amministrativo che hanno saputo operare in questa direzione.
Insomma possiamo dire che proprio questi ultimi 50 anni hanno una valenza almeno “doppia”.
In foto il direttore del Dicar, prof. Enrico Foti
Dalla facoltà di ingegneria siamo, dunque, approdati al DICAr e al DIEEI.
Per quel che mi riguarda direttamente, come direttore del DICAr – Dipartimento di ingegneria civile e architettura, mi piace offrire qualche dato attuale e qualche chiave di lettura che, spero, possano risultare d’interesse più generale.
Con riguardo alla didattica, il Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura raggruppa tutti i docenti dell’area dell’ingegneria civile e dell’Architettura nonché un folto gruppo di docenti dell’area industriale e dell’informazione. Di tale estrazione disciplinare composita ed ecclettica il DICAr ha sempre fatto un suo punto di forza, attraverso lo sviluppo di sinergie sia nella didattica e nella ricerca, che nella cosiddetta “terza missione”.
Sotto il profilo della formazione il DICAr offre, innanzitutto, molteplici percorsi di studio di primo (lauree triennali) e secondo (lauree magistrali) livello, tutti connotati da una fortissima spinta internazionale.
Alcuni corsi sono, infatti, totalmente erogati in lingua inglese e altri rilasciano il doppio titolo di laurea grazie alla partnership proficuamente avviata con prestigiose università europee, come, per esempio, con l’Università Politecnica di Madrid. Sono, inoltre, attivi 50 accordi con oltre 20 paesi Europei ed extra-Europei nell’ambito della mobilità internazionale (prevalentemente Erasmus+) per studenti e docenti.
Tuttavia il cambio di paradigma è stato realizzato con l’istituzione, oramai consolidata, della formazione di terzo livello, attraverso la quale è stato possibile, diversamente che in passato, accompagnare i nostri studenti per tutta la loro vita professionale e lavorativa, e dunque non solo nella fase post liceale, mediante percorsi di formazione continua declinati attraverso master e dottorati, che risultano sempre molto apprezzati e frequentati.
Tutto ciò è, ovviamente, possibile grazie a una attività di ricerca di grande qualità, che, non solo punta sulle sinergie dell’interdisciplinarietà, ma si confronta, altresì, con la comunità scientifica internazionale, traendo sempre ispirazione dalle sollecitazioni provenienti dal territorio, nella consapevolezza che l’Università di Catania e il suo territorio di riferimento, rappresentino un binomio inscindibile.
Tutto questo, molto sinteticamente, è il risultato degli ultimi 50 anni di impegno, in cui il DICAR ha raggiunto la sua riconosciuta autorevolezza nel panorama nazionale e internazionale, non scalfita neanche dagli immancabili momenti di difficoltà, da cui è sempre uscito a testa alta.
E dunque adesso non resta che individuare la direzione verso cui proiettare il futuro sviluppo, futuro che, data la rapidità dei cambiamenti che stiamo registrando a tutti i livelli, non può più essere tarato sui prossimi 50 anni ma piuttosto sui prossimi 5. La direzione, che non smetterò di promuovere e sostenere anche dopo la scadenza del mio mandato di direttore e a cui voterò il mio impegno di docente, non può che essere quella delle grandi sfide che si prospettano all’orizzonte sui temi chiave del clima, della mobilità, del digitale, della salute, dell’energia, della sostenibilità, della tecnologia e dell’umanità e dell’inclusione.
Un momento dell’intervento del prof. Enrico Foti
E poiché le grandi sfide sono anche sfide etiche, politiche e sociali, è necessario indirizzare il nostro impegno verso la formazione e la ricerca multidisciplinare e interdisciplinare, che attinga anche alle scienze umane e sociali, ossia verso una formazione che si nutra di contaminazione tra saperi appartenenti ad ambiti molto diversi, con l’obiettivo di formare professionisti che alle competenze tecniche associno anche le soft skills correlate all’intelligenza emotiva, e dunque verso la formazione di professionisti versatili, in grado di cogliere e interpretare adeguatamente le sollecitazioni che arrivano dalla società, di affrontare la complessa realtà del nostro tempo, esercitando un impatto più significativo sul territorio e sulla comunità.
Diversamente creeremmo i disoccupati di domani, anzitutto perché sarebbe davvero difficile immaginare di formare i ragazzi di oggi per professioni del futuro, le quali nascono dalla rapida evoluzione di esigenze imprevedibili e necessitano di competenze specifiche elevate: è stato stimato che una percentuale molto significativa di lavori (circa il 30/40%) che vedremo nel 2050, ancora non esiste.
Sotto ulteriore profilo, il rischio sopra paventato, è correlato alla competizione che sta via via prendendo piede tra gli atenei e altre realtà più attrezzate di noi a formare i giovani su aspetti iperspecialistici correlati alla speculare offerta di lavoro. Mi riferisco, esemplificativamente, al programma di corsi semestrali a basso costo “Google Career Certificate“, lanciato dal colosso di Mountain View e finalizzato a formare i suoi “studenti” per un’immissione in quel mondo del lavoro, sempre più tecnologico e iperspecializzato.
A fronte di ciò, è, per un verso, evidente come la nostra organizzazione universitaria risulti poco competitiva con la formazione ultra-specialistica proposta da colossi come Google o simili, interessati a formare figure professionali a proprio uso e consumo; ma è al contempo per altro verso evidente, che la stessa possa invece divenire competitiva e vincente, attraverso l’erogazione di una solida formazione tecnico-scientifica integrata da collaterali competenze di versatilità e flessibilità, attingibili unicamente dalla trasversale integrazione con le scienze umane e sociali e, dunque, dalla multidisciplinarietà.
È proprio questo il modello di formazione richiesto anche in vista del raggiungimento degli obiettivi di interesse generale della società, esplicitamente declinati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ossia un modello di formazione, cui dovrebbe corrispondere una speculare riorganizzazione interna delle strutture di ricerca e di formazione, non più per discipline affini, quanto, piuttosto, per obiettivi verso i quali far convergere trasversalmente la formazione multidisciplinare.
E dunque il mio augurio è che il DICAR e, perché no, l’Università di Catania, possano muoversi in questa direzione di “alleanza culturale” tra tecnologia e umanesimo, l’unica che ci consentirà di affrontare e vincere le grandi sfide già in atto.