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Al dipartimento di Scienze politiche e sociali la lectio magistralis del teologo Vito Mancuso
«La libertà è essenza della vita umana, è una potestas, e possiamo coniugarla come capacità di capire, di agire e di voler agire in modo responsabile. Interrogarsi sulla libertà è un nodo decisivo del pensiero, perché coinvolge rapporti fondamentali dell’uomo: il rapporto con il mondo, con gli altri esseri umani e la società, il rapporto con sé stessi e con i principi ordinatori del mondo. Eppure, proprio sulla libertà, sin dalle origini gli uomini hanno avuto le idee piuttosto confuse». E’ stato un appassionante percorso di riflessione e scoperta quello attraverso il quale il teologo Vito Mancuso ha condotto il folto e attento pubblico in occasione dell’incontro che si è tenuto mercoledì 22 novembre nell’aula magna del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania.
Invitato a tenere una lectio magistralis dal dipartimento, il prof. Mancuso, editorialista e autore del volume "Il coraggio di essere liberi" (Garzanti, 2016), ha alternato argomenti tipicamente speculativi con citazioni letterarie, svariando da Dante a Einstein, da Kant a Shopenhauer, passando per gli illuministi e i buddisti, a sostegno della tesi che la libertà «non è una moneta che si ha in tasca, ma è qualcosa di dinamico», per concludere il suo excursus con una toccante e drammatica citazione da Vasilij Grossman, l’autore di “Vita e destino”. Introdotto dal prorettore Giancarlo Magnano San Lio, dal direttore del dipartimento Giuseppe Vecchio e dal coordinatore del dottorato di ricerca in Scienze politiche e sociali Fabrizio Sciacca, l’intervento di Mancuso ha poi dato vita a un intenso dibattito con il contributo dei docenti Salvatore Aleo, Enrico Caterini, Felice Giuffrè e Matteo Negro.
Mancuso ha esordito proponendo la sua definizione di libertà, come combinazione della capacità di consapevolezza (“la mente che capisce e che sa di capire”), di creatività (“la mente che agisce ponendo in atto il nuovo”), e di responsabilità (“la mente che agisce in risposta alle domande e alle esigenze dell’ambiente”). E’ una dimensione essenziale dell’uomo, che coinvolge i sentimenti – è più libero chi ama o chi non ama? -, la sfera giuridica– è più libero chi rispetta le leggi o chi le ignora? - e politica - stato liberale o stato etico? -, ma anche la sfera personale, ossia il rapporto tra noi stessi e i nostri desideri. «Su questi temi – ha ribadito - l’uomo non ha mai avuto le idee chiare, e palesi contraddizioni si trovano nel pensiero degli antichi greci come nella tradizione cristiana (la dicotomia tra opere e fede), emergono nella diatriba tra Erasmo e Lutero sul libero arbitrio, come nel catechismo vigente, e negli scritti dello stesso Einstein, in distinti momenti della sua vita».
Ecco che, al termine di questa rielaborazione, può invece prospettarsi una sorta di ‘scala della libertà’, il cui primo gradino è costituito dalla liberazione del sé da sé, dai propri desideri, o parafrasando Dante ‘l’ascesa di noi su noi stessi’; il secondo è il libero arbitrio che è un livello della capacità di scelta, ma non è sufficiente: «perché non possiamo mettere ad esempio sullo stesso piano il rispetto della natura o il suo sfruttamento, il corteggiamento o la molestia»; il terzo gradino è la responsabilità, e l’ultimo è proprio la volontà di aderire al bene e alla giustizia. «La vera libertà è una libertà che parteggia», ha affermato Mancuso.
Il quesito di Kant – “Come si può pensare di ricavare da un legno storto, come è l’uomo, qualcosa di perfettamente diritto?” – rimane tuttora valido, ha ammesso Mancuso, e la nascita del processo di liberazione, così inteso, resta un mistero. «In giro, purtroppo, non si vedono tanti uomini consapevoli, creativi e responsabili. Eppure verso questa meta si può camminare. Qualcuno vi giunge: sono coloro che nella tradizione cristiana vengono chiamati santi, in quella ebraica ‘giusti’, in quella greca philosophoi, in quella buddista ‘esseri illuminati’. Esseri umani totalmente liberi. Un traguardo non così irraggiungibile – ha concluso il teologo -, se rileggiamo l’apologia di Socrate o le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana».