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Il linguaggio di Bergoglio analizzato dal prefetto per la Comunicazione della Santa Sede
“Già l’annuncio del nome prescelto, Francesco, ci aveva aperto l’orizzonte di una semantica, di una rete e di un bacino di valori, prospettive e atteggiamenti direttamente riconducibili al grande Santo di Assisi. Poi, affacciandosi alla loggia di San Pietro, in quella sera del 13 marzo 2013, pronunciò un lieve saluto, un segno di contatto appena sussurrato: ‘Fratelli e sorelle… buonasera’. Così Jorge Mario Bergoglio è riuscito a rendere straordinario l’ordinario, presentandosi alla comunità di fedeli all’insegna dell’autenticità, della semplicità, dell’immediatezza”. E’ lo stesso monsignor Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e già direttore del Centro Televisivo Vaticano, testimone diretto di molti momenti della "rappresentazione pubblica" del pontificato (dai viaggi apostolici, dalle omelie alle encicliche, alle conferenze stampa in aereo, alle visite a sorpresa) a offrire alcuni capisaldi interpretativi del modello comunicativo di Papa Francesco, analizzato nel corso di un incontro che si è tenuto mercoledì 19 aprile nell’aula magna del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania.
Un incontro promosso, nell’ambito dei corsi di Diritto privato e Diritto penale del dipartimento, per farsi consegnare da una ‘fonte diretta’, come ha ricordato Emiliano Abramo della comunità di Sant’Egidio, “alcuni degli strumenti utili per capire meglio la società in cui viviamo, guardando in particolare ad una figura, quella di papa Bergoglio, che attraverso la cordialità e il suo saper parlare al cuore della gente, è riuscito a divenire un leader naturale”. “La comunicazione adottata nel suo Pontificato e in questa precisa fase storica – ha aggiunto il prof. Giuseppe Vecchio, ordinario di Diritto privato – offre parecchi spunti didattici, basti pensare ai temi fondamentali e ricorrenti della sofferenza o alla capacità di saper affrontare temi complessi, come quelli della biodiversità, trattati nell’enciclica ‘Laudato Si’’ con un linguaggio semplice ma tutt’altro che semplicistico”.
“Francesco è un papa culturalmente meraviglioso – ammette il prof. Salvatore Aleo, ordinario di Diritto penale – che parla dei perdenti, degli ultimi, degli ‘sfigati’, dei detenuti, che telefona a casa della gente, ma che al tempo stesso ha la stessa forza rivoluzionaria dei Beatles o di Beccaria, la cui fortuna in Italia e all’estero consiste nel fatto che in fondo chiedeva delle cose banali e condivisibili da tutti: per esempio, poche leggi, semplici e chiare. E’ proprio questa apparente banalità che può riuscire a cambiare il mondo”. E monsignor Gaetano Zito, vicario diocesano per la Cultura, evidenziando come la pluralità di paradigmi comunicativi e codici linguistici oggi rendano quasi impossibile la comunicazione tra soggetti diversi, ritiene che proprio Francesco arrivi a fondere nella sua figura l’endiadi tra leadership e comunicazione: “Il suo dire – spiega – è credibile: tutti possono riscontrare che ciò che lui dice è ciò che veramente fa, proponendosi e non imponendosi su chi l’ascolta, in un tempo nel quale, a fronte di un’altissima velocità dell’informazione, è invece bassissimo il livello della coscienza critica”.
“Del linguaggio di Papa Francesco – ha ricordato il “ministro dei mass media” vaticani – si parla in maniera forse troppo euforica oppure molto critica. Autenticità, semplicità e immediatezza delle sue parole acquisiscono forza sociale? Sono dei valori? E in che modo sono collegati al senso di nuovo che percepiamo, o alla differenza che riscontriamo rispetto ai suoi predecessori?”. Le risposte a queste domande un giorno le forniranno gli storici, ma per il Capo della comunicazione vaticana, alcuni episodi possono aiutarci a individuare i paradigmi del messaggio che il Pontefice che ‘viene dalla fine del mondo’ ha scelto di lanciare nella sua missione.
“Il tratto della gentilezza, per esempio, contrapposto a un tempo dove si tende sempre a urlare più forte dell’altro interlocutore – elenca Viganò -. La stessa sera della sua elezione, Bergoglio si rivolge ai romani, parlando come loro Vescovo. Non una scelta casuale: quattro anni fa, il vocabolario sociale dei romani, e di tutto il Paese, era pieno di ben altri messaggi verbali: ‘rottamazione’, ‘vaffa’, ‘ruspa’, ‘fuori’. Lui, invece, ha sussurrato un saluto cordiale, richiedendo poi il silenzio come alternativa etica all’idea di rispondere al rumore con un rumore più forte. Venti interminabili secondi, lo spettacolo potentissimo di una moltitudine immobile, una marea umana che trattiene il respiro...”.
Lo hanno poi ribattezzato il ‘Papa dei selfie’. “Dalla loggia di Pietro – continua Viganò –, presentandosi alla folla, lui ha esclamato perentoriamente ‘Sono qui’. E ci sta dimostrando ogni giorno di voler mettere in atto questa sua promessa, sottolineando continuamente l’importanza della presenza, della corporeità, della comunicazione come prossimità e incontro. Attraverso il suo ‘ripiegarsi’ sulla gente, abbassarsi verso le persone, quando scende dalla papa-mobile e va ad abbracciare i malati; o con i suoi gesti di ‘inglobamento’, quando prende in braccio i piccoli o li fa salire sull’auto. Oppure ancora mostrando la sua stessa corporeità alle prese con la fatica del quotidiano, andando a fare compere o portandosi la borsa da solo. Francesco, insomma, sta ridefinendo i territori corporei: si ripiega, ingloba, si prende in carica il corpo degli altri, non permettendo ad alcunché di ostacolare la relazione diretta, alla quale tiene tantissimo sia che si tratti di una piazza piena sia di una persona che lo attende per un appuntamento”. Per questo, i ‘selfie’ vanno intesi non come sublimazione retorica del personaggio, come ha malignato qualcuno, ma sono un modo di dare forma al ‘qui e ora’ della prima promessa di Bergoglio: un momento gioioso ed euforico di contatto, una reciproca condivisione di corporeità”.
Infine, il coinvolgimento, la forza di inclusione che riesce a catturare l’attenzione anche dei più lontani o distratti. “Quando racconta qualcosa, nella narrazione di Papa Francesco – conclude mons. Viganò -, non c’è mai un soggetto o un fattore opponente, non esiste un passaporto che tracci un confine tra il dentro e il fuori, ma si avverte la volontà di essere accessibile e comprensibile a tutti. E, al tempo stesso, non esiste situazione umana che non può essere abitata dal Vangelo della Misericordia, come ci ricorda il tanto discusso intervento al SuperBowl, o la sua attenzione alla rete e ai social come canali di possibile evangelizzazione purché non si rimandi il rapporto con la realtà, altrimenti la forma perde sostanza”.
“Grazie a questo metodo di comunicazione incisivo adoperato da Bergoglio – ha concluso Viganò - moltissime persone hanno riscoperto i valori racchiusi nel vangelo cristiano. Ma sono proprio la gentilezza, l’uso della corporeità e la capacità di includere, e non escludere, a fare di lui un leader naturale, citato tanto dai credenti quanto dai non credenti”.