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A Scienze politiche un seminario della sociologa Valeria Ferraris: "Non esiste un diretto rapporto causa-effetto tra questi fenomeni"
«Il fenomeno migratorio ha portato nel nostro Paese delle modifiche nei fenomeni criminali, ma questo non garantisce una particolare e definibile connessione tra i due termini». E’ la conclusione a cui giunge la prof.ssa Valeria Ferraris, docente di Sociologia all’Università di Torino, ospite del dipartimento di Scienze politiche e sociali per il seminario “Immigrazione e criminalità: dati, teorie e analisi”, quarto incontro del laboratorio d’Ateneo "Migrazioni, diritti e confini. Strategie europee e dimensioni locali", coordinato dalle docenti Teresa Consoli (dipartimento di Scienze politiche e sociali) e Adriana Di Stefano (dipartimento di Giurisprudenza).
«Come più volte evidenziato nel corso del Laboratorio – ha affermato la prof.ssa Consoli -, l’analisi dei flussi migratori consente di osservare in modo specifico le dinamiche sociali del nostro Paese, assolvendo una funzione specchio rispetto ai contesti di arrivo. Questa funzione appare in tutta la sua complessità se analizziamo i tassi di criminalità e il rapporto tra questi e la popolazione straniera. Alta è la disinformazione rispetto al modo in cui vengono prodotte le statistiche sulla criminalità in Italia e, quando parliamo di immigranti, l’uso che viene realizzato di questi dati è spesso distorto, politicamente orientato e molto strumentalizzato. Una informazione attenta e responsabile consentirebbe di comprendere innanzitutto il modo in cui vengono prodotte le informazioni e garantirebbe una migliore comprensione di ciò che accade per le strade, evitare allarmi ingiustificati e acquisire maggiore consapevolezza delle dinamiche e dei percorsi che caratterizzano molti stranieri».
«Nonostante non ci sia dubbio che alcuni reati sono commessi più di frequente da immigrati (in molti ambiti, ad esempio nello spaccio, si è sicuramente registrato un fenomeno di “sostituzione”) – ha spiegato la prof.ssa Ferraris -, le ragioni per cui sono coinvolti in questi reati non possono essere ricondotte al loro essere straniero. Valgono per lo straniero le stesse spiegazioni del comportamento criminale che possono essere date per gli italiani . Questo però non autorizza a parlare di una criminalità legata allo straniero in quanto tale; è più corretto affermare che alcune condizioni che in taluni casi si riscontrano tra i migranti favoriscono comportamenti criminali».
«Va sottolineato – ha continuato la docente - che, quando si parla della criminalità straniera, si fa quasi esclusivo riferimento agli street crimes, che si realizzano nei luoghi pubblici: reati predatori (furti, rapine), commercio di beni contraffatti, reati connessi all’esercizio della prostituzione e spaccio di sostanze stupefacenti. E sono proprio questi comportamenti criminali a ricevere eco mediatica. Le notizie relative ad essi vengono trattate accentuando il dato della provenienza dell’autore del reato, informazione che non è quasi mai un dato che possa spiegare i comportamenti criminali. In questo senso, i media hanno un ruolo di primo piano nell’enfatizzazione della criminalità straniera: la caratterizzazione etnica è una caratteristica della nostra informazione».
Nel corso del suo intervento la prof.ssa Ferraris si è poi soffermata sulle cinque statistiche oggi utilizzate in Italia per analizzare il fenomeno: quelle penitenziarie (che si riferiscono alle persone sottoposte a misure detentive), quelle sugli imputati già condannati, quelle processuali penali (riguardanti l’attività dei tribunali penali), quelle della delittuosità (riguardanti i reati denunciati all’autorità giudiziaria a seguito di indagini delle forze dell’ordine o di denunce presentate alle stesse dai cittadini) e quelle sulla criminalità (che trattano i reati per i quali l’autorità giudiziaria ha iniziato l’azione penale).