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Il dipendente pubblico tra reclutamento, stabilizzazioni e valutazione della performance

A Giurisprudenza un incontro sulla Riforma Madia

16 Marzo 2018
Giuseppe Melchiorri

Reclutamento, promozioni, stabilizzazioni e la possibilità di ricorrere al lavoro autonomo e flessibile. Queste le principali novità della cosiddetta “Riforma Madia” sul pubblico impiego.  A poco meno di un anno dalla sua entrata in vigore (con i decreti legislativi 74 e 75 del maggio 2017) il dipartimento di Giurisprudenza e il Centro Studi di Diritto del Lavoro europeo “Massimo D’Antona” (Csdle) dell’Università di Catania hanno promosso un incontro che si è tenuto questa mattina nell’aula magna di Villa Cerami.

Nel corso della prima sessione del convegno – promosso dal prof. Sebastiano Bruno Caruso, ordinario di Diritto del Lavoro e presidente del Csdle e aperto dagli indirizzi di saluto del rettore Francesco Basile e del direttore del dipartimento Roberto Pennisi -, sono stati trattati proprio i temi del reclutamento, delle promozioni, delle stabilizzazioni e dell’autonomia e della flessibilità.

“Quello odierno è un incontro di estrema importanza sia dal punto di vista giuridico, sia da quello amministrativo - ha evidenziato il prof. Pennisi -. Il modo in cui è strutturato, con la contemporanea presenza di giuristi e di altri professionisti che compongono la macchina della giustizia, rappresenta lo stile tipico della Scuola del prof. D’Antona, che nella sua, pur breve, esperienza nel nostro Ateneo ha lasciato un seme che ancora continua a germogliare”. Moderati dal presidente della Corte di Appello di Catania Giuseppe Meliadò, secondo il quale la Riforma Madia recupera alcuni tratti delle prime due riforme e stempera certi estremismi della Legge Brunetta, sono intervenuti Lorenzo Zoppoli (Università di Napoli "Federico Il"), i docenti dell’Università di Catania Giancarlo Ricci, Anna Maria Alaimo ed Elisa D'Alterio e Paolo Sordi (Tribunale di Frosinone).

In particolare, la novità forse più attesa e importante del decreto legislativo n. 75/2017 riguarda la stabilizzazione dei contratti dei precari. Il decreto, infatti, offre alle Pa lo strumento per porre fine al precariato storico: attraverso un piano straordinario, entro il 2020 circa 50 mila lavoratori pubblici italiani con contratti in scadenza che hanno prestato servizio nella amministrazioni per almeno tre degli ultimi 8 anni potranno ottenere i nuovi contratti a tempo indeterminato. “Un’opportunità pienamente sfruttata anche dall’Ateneo di Catania – ha sottolineato il rettore Basile - che, grazie al suo bilancio sano, ha in via di definizione la stabilizzazione di 280 unità di personale a tempo determinato su quattrocento e che prevede, in tempi brevi, l’avvio di una nuova procedura per la stabilizzazione di altri lavoratori”.

Per quanto riguarda più generalmente le nuove assunzioni, il decreto stabilisce che il numero delle unità da immettere in servizio dovrà variare in base ai fabbisogni di ciascun ente, che dovranno essere determinati con cadenza triennale. È allo stesso tempo fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di collaborazione, mentre è possibile ricorrere al lavoro flessibile.

Nella seconda sessione si sono affrontati i temi legati al mutamento dei rapporti di lavoro pubblico. Coordinati da Concetta Maiore, presidente della Sezione Lavoro della Corte di Appello , sono intervenuti i docenti dell'Università di Catania Antonino Lo FaroMariagrazia MilitelloLoredana ZappalàVeronica PapaAnnalisa Di Paolantonio, consigliere della Corte di Cassazione Sezione Lavoro.

E’ stato trattato innanzitutto il tema classico della retribuzione, diviso tra una parte fissa e una parte premiale, in termini di efficienza e produttività. Il decreto legislativo n. 74/2017 si occupa infatti più specificamente della valutazione della performance dei dipendenti pubblici, nell’ottica di ottimizzare la produttività e migliorare il servizio. Erogazione dei premi e scatti di carriera sono subordinati alle valutazioni positive della performance. Tutte le amministrazioni dovranno valutare il comportamento dei propri dipendenti e di tutte le unità organizzative. Un ruolo attivo nella valutazione della performance delle Pa è dato anche ai cittadini/utenti, che potranno quindi esprimere per la prima volta il loro parere sul servizio e sul personale delle amministrazioni.

In secondo luogo, si è parlato dei mutamenti occorsi in tema di licenziamento: il legislatore ha ampliato, rispetto alle previsioni della Riforma Brunetta, le ipotesi in cui la Pa ha il potere e l’obbligo di licenziare il dipendente pubblico. Risulta più efficace e più veloce l’azione disciplinare nei confronti dei dipendenti: la sanzione deve arrivare entro 120 giorni, mentre vengono introdotti nuovi limiti all’annullabilità delle misure disciplinari per vizi formali.

False timbrature, assenze ingiustificate e false dichiarazioni sono confermate cause di licenziamento, come anche le reiterate e gravi violazioni delle regole deontologiche, lo scarso rendimento a causa di violazioni per le quali si è già stati sanzionati e la valutazione negativa della performance per tre anni consecutivi.

Rispetto al passato risulta quindi potenziato il potere disciplinare, nell’ottica di garantire il controllo dell’operato del lavoratore pubblico e, infine, il cosiddetto whistleblowing, strumento importato da altre esperienze per prevenire e reprimere la corruzione e l’illegalità nella Pa. “Tutte modifiche – ha spiegato il prof. Caruso - che ci dicono di una nuova visione etica del legislatore che guarda al pubblico dipendente non come un  addetto ad una funzione, ma come una sorta di “homo novus”, anche in veste di “vedetta civica”, che dovrebbe essere in grado di traghettare le pubbliche amministrazioni italiane verso un approdo di efficienza e buon funzionamento. Tutto ciò a partire dalla trasparenza e dal contrasto di ogni comportamento di cattiva amministrazione, con al centro il ruolo di una autorità polifunzionale e onnipresente: l’Anac”.