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Lo Stato in Dante

Presentata a Scienze politiche la riedizione del volume del filosofo Hans Kelsen

19 Gennaio 2018
Giuseppe Melchiorri

Una rilettura della prima opera giovanile di Hans Kelsen, in cui il teorico del diritto affronta e ripensa il "De Monarchia" di Dante e la sua grandiosa visione di una teologia politica posta a fondamento di un governo globale del mondo. E’ stata presentata questa mattina, nell’aula magna del dipartimento di Scienze politiche e sociali (Dsps) dell’Università di Catania la riedizione del saggio dello stesso Kelsen “Lo Stato in Dante. Una teologia politica per l’impero” (Mimesi 2016), nel corso di un incontro promosso nell’ambito delle attività del dottorato di ricerca in Scienze politiche e del Piano di Ricerca 2016/2018 “Consenso e autorità. Nuove fonti e nuovi modelli di esercizio del potere”.

Noto per la sua teoria generale dello Stato, che esclude ogni contaminazione con le altre discipline sociali, il Kelsen degli esordi si occupa invece proprio di Legge e Letteratura. In questo volume, egli affronta e ripensa il "De Monarchia", gettando una luce completamente nuova e affascinante su un lato fondamentale del pensiero giuridico-politico del '900, che supera di molto gli schemi in cui esso era stato imbrigliato e neutralizzato.  “Lo Stato in Dante” fu scritto nel 1905 quando il filosofo aveva solo 24 anni. Fu pubblicato in Italia solo nel 1974, un anno dopo la sua morte. E’ il primo di una lunga serie di scritti e saggi che porteranno Kelsen all’elaborazione di una dottrina che ha profondamente segnato il pensiero giuridico del XX secolo e che tutt’ora mantiene la sua attualità.

Alla presentazione, aperta dagli indirizzi di saluto del prorettore Giancarlo Magnano San Lio e del direttore del Dsps Giuseppe Vecchio, hanno partecipato anche i docenti Pier Giuseppe Monateri (Università di Torino), autore della prefazione del volume e Tommaso Edoardo Frosini (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli), autore della postfazione, oltre al prof. Mario Patrono, professore emerito dell’Università di Roma “La Sapienza”, al coordinatore del dottorato Fabrizio Sciacca e gli altri docenti del Dsps Felice Giuffrè e Fabrizio Tigano.

“L’incontro odierno - ha spiegato il prof. Vecchio - è stato pensato per analizzare il rapporto tra democrazia e decisione, tra diritto e politica, partendo dall’analisi che Kelsen, definito da molti il maggior giurista europeo del Novecento, fa dell’opera di Dante in cui si parla più esplicitamente di Stato. La scoperta in Italia del saggio di Kelsen si deve al compianto Vittorio Frosini”.

“Il tema è particolarmente interessante – ha affermato il prorettore Magnano San Lio, intervenuto anche nella sua qualità di filosofo -. Il “De Monarchia” è forse l’opera più politica del Sommo Poeta. Dante parla della necessità di un impero universale quale condizione per la pace e la convivenza fra popoli. Cosa spinge Kelsen ad analizzare un libro del Trecento? Non dobbiamo dimenticare che nel 1905 il filosofo era a tutti gli effetti un cittadino dell’impero asburgico e che probabilmente avvertiva il senso di appartenenza ad una dimensione sovranazionale. Forse è per questo che era particolarmente attento alla tematica dell’impero affrontata da Dante”.

“Kelsen - ha spiegato il prof. Sciacca - analizza la concezione dello stato in Dante, considerandola quasi una prefigurazione dello Stato moderno”. “In quest’opera – ha poi affermato il prof. Monateri – Kelsen propone un’analisi letteraria di un problema essenzialmente politico. Inizia così un percorso che giungerà ad una dottrina pura del diritto. La sua intenzione in questo libro è duplice: da una parte, chiarire la dottrina dello Stato secondo Dante, dall’altra, ‘fissare la posizione’ dell’autore della Divina Commedia nella storia della dottrina dello Stato nel Medioevo. La sua conclusione è che quella di Dante sia l’espressione più eccellente della dottrina medievale e, nello stesso tempo, il suo superamento”.

“Secondo Kelsen – ha continuato Monateri -  lo stato ideale di Dante è da intendersi come un’organizzazione comprendente tutta l’umanità e corrisponde alla definizione aristotelica (diffusa nel Medioevo) che lo intende come la suprema, la più perfetta ed autosufficiente consociazione”.

“Le opere di Kelsen sono un classico – ha spiegato il prof. Frosini -, perché il suo pensiero, le sue opere sopravvivono a lui e al suo tempo. Egli aveva visto nel “De Monarchia” un’opera di diritto pubblico. In questa sua opera Kelsen evidenzia come nel pensiero di Dante lo Stato nella forma dell’impero assolve al preciso compito di assicurare la giustizia, perché senza di essa lo Stato è un male, un magnum latrocinium. Secondo il filosofo austriaco, per Dante lo Stato è concepito non come puro diritto, ma piuttosto come un’immagine dell’ordinamento del mondo celeste, un ente avente come supremo compito la realizzazione della felicità terrena dei cittadini, da fondare sulla cultura”.