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Il messaggio del rettore Francesco Priolo lanciato stamattina nel corso del dibattito "Beni confiscati: Labirinto tra responsabilità diffuse e opportunità mancate. Quali prospettive?"
«Non possiamo pensare che la lotta alla criminalità competa solo alle forze dell’ordine e alla magistratura, è una problematica che richiede l’intervento e il coinvolgimento di tutte le istituzioni e anche della società civile». Lo ha detto il rettore Francesco Priolo stamattina nel corso del dibattito dal titolo “Beni confiscati: Labirinto tra responsabilità diffuse e opportunità mancate. Quali prospettive?” organizzato dall’Associazione antiestorsione di Catania in collaborazione con l’Università di Catania nei locali del Palazzo Fortuna del Dipartimento di Economia e Impresa.
«Sul tema dei beni confiscati e al fondamentale riutilizzo, l’Università di Catania il 20 maggio scorso ha siglato un protocollo d'intesa con la Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo e con l’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati finalizzato ad una approfondita analisi delle criticità connesse al mantenimento da parte delle imprese confiscate delle posizioni di mercato antecedenti alla confisca con l’obiettivo di favorire la continuità imprenditoriale e il livello occupazionale – ha aggiunto il rettore -. Il protocollo prevede anche lo studio del fenomeno criminale con particolare riguardo alle tematiche connesse alle conseguenze socio-economiche legate alla confisca dei beni nella disponibilità delle mafie. E anche delle attività necessarie al superamento delle criticità che ostacolano o rallentano la restituzione alla collettività dei patrimoni mafiosi e quindi il loro riutilizzo a fini sociali».
«Nello specifico il dipartimento di Economia e impresa è impegnato, da anni in studi che riguardano gli aspetti economici della legalità che «non è solo un bene pubblico - ha sottolineato il direttore del dipartimento Roberto Cellini - ma anche un fattore produttivo senza il quale non esiste il mercato e non è possibile avere scambi».
E proprio nel corso dei lavori i docenti Maurizio Caserta e Livio Ferrante dell’ateneo catanese hanno illustrato diversi studi basati sull’analisi economica dei provvedimenti di sequestro e confisca dei beni della criminalità organizzata e della loro riassegnazione che permette di misurare l’impatto che quei provvedimenti hanno su alcune significative variabili territoriali.
«Si dovranno fare degli sforzi economici - ha sottolineato il prof. Maurizio Caserta -, ma se la legalità è costosa l'illegalità lo è ancora di più. Alla fine, facendo venire meno quel fascio di potere marcio, può essere risparmiato del denaro da destinare ad altri scopi».
Sugli studi, invece, si è soffermato il ricercatore Livio Ferrante.
«Il primo dal titolo “Mafia and bricks: unfair competition in local markets and policy interventions” si è occupato di misurare gli effetti che quei provvedimenti hanno sulla struttura dei mercati locali e sul loro grado di concentrazione e usando i dati sui comuni siciliani si osserva una evidente associazione tra la presenza mafiosa sul territorio e il grado di concentrazione dell’industria delle costruzioni – ha spiegato il ricercatore di Economia politica Livio Ferrante del Dipartimento di Economia e Impresa -. Si osserva pure che in quei comuni dove sono stati adottati provvedimenti di confisca delle aziende mafiose il grado di concentrazione si riduce garantendo un livello di competizione più alto ed un incremento del valore degli immobili tra il 2 e il 3%».
«Un altro studio, dal titolo “Shall we follow the money? Anti-mafia policies and electoral competition”, guarda alla concentrazione di voto nelle elezioni regionali siciliane e si osserva che nei luoghi dove c’è stata riassegnazione per usi pubblici di un bene c’è anche minore concentrazione di voti per i candidati protagonisti delle vicende giudiziarie per collegamenti con la mafia. Vi è un aumento della competizione elettorale – ha aggiunto il ricercatore -. Il processo di riassegnazione sembra togliere il consenso alla mafia. Non basta la confisca, occorre la riassegnazione e riutilizzo del bene che mina il consenso e il potere della mafia e di conseguenza sostiene l’esistenza di altre vie».
All’incontro sono intervenuti anche il direttore di Dipartimento di Economia e Impresa Roberto Cellini, il procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro, il direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata Bruno Corda, il presidente della Commissione regionale d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia Claudio Fava e il presidente Asaec Nicola Grassi.
Nel corso del suo intervento Claudio Fava ha evidenziato la «valenza sociale della confisca e riutilizzazione del bene soprattutto in alcuni territori di Catania in cui si registrano soglie anche del 50% di dispersione scolastica». «A Catania si registra una media del 22%, tra le più alte in Europa, con conseguenze inevitabili per questi bambini che a 10 diventano "carne da macello" in attività di lavoro minorile o peggio trasformati in "vedette" della mafia - ha aggiunto il deputato regionale -. Altro fatto ancora più preoccupante è che a Catania ci sono ragazzini che senza aver mai visto una sua foto, ma solo per un'eredità orale tramandata di generazione in generazione, vivono nel mito di Nitto Santapaola. Una regola non scritta, un mito da sfatare, un legame da spezzare che richiede una sinergia ancora più forte tra le istituzioni. E, inoltre, è indispensabile che oltre alla confisca dei beni occorre un riutilizzo anche perchè Cosa Nostra è in continua evoluzione, si adatta ai tempi per fare in modo che il bene confiscato ritorni in loro possesso perchè rappresenta una risorsa importante».
«Oltre il 50% dei beni confiscati è già destinato, ma non è utilizzato. È un fatto grave» ha spiegato il procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro. «È un tema molto caldo, attuale, scottante, occorre prendere coscienza che il sistema attuale necessita di una modifica - ha aggiunto -. Tutti, dagli organi amministrativi e politici all'autorità giudiziaria, devono comprendere che occorre un cambiamento. Dobbiamo sensibilizzare l'opinione pubblica perchè questi temi non riguardano solo la magistratura, le forze dell'ordine e gli amministratori, ma soprattutto i cittadini perchè questi beni confiscati devono essere riutilizzati con finalità sociali così come prevede la legge e che purtroppo il sistema non consente di fare».
Il direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata Bruno Corda ha sottolineato che «il 68% delle aziende confiscate sono scatole vuote, mentre il 27% arriva in stato di pre-liquidazione e solo le restanti, ovvero appena 150, sono sul mercato». «La nostra attenzione è rivolta principalmente su quel 27% in pre-liquidazione perchè vogliamo capire se è possibile salvarle con azioni immediate e per questo stiamo cercando di stabilire con l'Associazione Bancaria Italiana un protocollo d'intesa per un fondo di garanzia che possa assicurare alle azienda un futuro sul mercato». Ma il prefetto Corda ha anche sottolineato come «i piccoli Comuni spesso si trovano a dover gestire beni confiscati senza risorse economiche e umane, per questo occorre un affiancamento delle Regioni o la costituzione di consorzi tra comuni che possano, tramite una sinergia, occuparsi della gestione». «Un contributo importante per la gestione di questi beni potrebbe arrivare dalla società civile e dalle associazioni» ha concluso.
In chiusura ha preso la parola anche il presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania, Maria Pia Urso.