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A Palazzo centrale una mostra a cento anni dalla fine del conflitto mondiale
Tra i milioni di vittime stimati alla fine della Prima Guerra Mondiale, parecchie migliaia di questi furono studenti che non riuscirono mai conseguire il titolo di laurea; giovani che ambivano a diventare medici, ingegneri, farmacisti, insegnanti, a cui però la guerra strappò non soltanto il futuro ma la stessa vita. Tra questi, anche molti ‘goliardi’ dell’Ateneo catanese: 64 studenti di Giurisprudenza, dieci di Medicina, nove di Lettere e dieci di Scienze, come ricorda il monumento celebrativo posto all’ingresso del Palazzo centrale dell’Università.
Ma quale fu il ruolo delle università in Italia negli anni della guerra? A cento anni dalla fine del primo conflitto mondiale, l’Archivio storico dell’Ateneo, diretto dal dott. Salvatore Consoli, ha allestito nei propri locali al piano terra del Palazzo centrale una piccola ma significativa mostra dal titolo “La Grande guerra e l’Università di Catania” – curata da Michelangelo Calderaro con la collaborazione dei colleghi Antonino Terzo e Chiara Racalbuto - per onorare la memoria di quanti tra i suoi studenti perirono nei campi di battaglia, e restituire uno spaccato di quella visione interventista che infervorò molti dei professori e degli stessi allievi.
In esposizione, documenti accademici, copie di giornali dell’epoca, lettere, fotografie, oggetti e cimeli che restituiscono il clima di quegli anni e riflettono il ruolo e la partecipazione di studenti e docenti alla Prima guerra mondiale. La mostra – che ha riscosso l’interesse dell’assessore regionale al Turismo Sandro Pappalardo, che l’ha inaugurata sabato scorso insieme al rettore Francesco Basile, proponendone l’inserimento in un circuito di iniziative dedicate al turismo bellico nell’Isola - sarà gratuitamente visitabile fino al prossimo 21 dicembre da lunedì a venerdì, ore 9-13; martedì e giovedì anche dalle 15,30 alle 17,30.
L’Ateneo di Catania – ci dicono i documenti - divenne dunque un’istituzione fortemente attiva nel propagandare la sua posizione interventista e, in quest’ottica, accolse favorevolmente quanti, tra coloro che vi operarono, tra studenti, docenti e personale, decisero di arruolarsi. Il numero sempre più crescente degli studenti pronti a partire per il fronte (528 nel 15-16, 606 nel 16-17, 972 nel 17-18), portò all’istituzione di un Comitato permanente universitario con il quale si garantiva la continuità didattica attraverso la fornitura di sussidi e appunti sulle lezioni “mancate”, attivando poi delle agevolazioni come l’iscrizione d’ufficio all’anno successivo, a prescindere dal pagamento delle tasse o del superamento delle sessioni d’esame per chi era impegnato al fronte, o deliberando l’assegnazione della Laurea ad Honorem a tutti gli studenti caduti in guerra.
A fianco dei loro stessi studenti, tra i professori pronti a lasciare la toga per il fronte, nonostante la proibizione dell’arruolamento volontario per i funzionari pubblici di ogni ordine, Giuseppe Lombardo Radice, docente di pedagogia tra il 1911 e il 1922, e l’anziano prorettore Vincenzo Casagrandi, professore di Storia antica dal 1888 al 1922 che, tra l’altro, nel conflitto, ebbe il proprio figlio Glauco ferito al fronte.
Il prof. Edoardo Cimbali, titolare dal 1915 della cattedra di Diritto internazionale, fu tra quelli che dopo lo scoppio della guerra si votò totalmente all’interventismo; le sue lezioni, giorno dopo giorno, ebbero la forza di forgiare le menti di quegli studenti che, senza rendersene veramente conto, divennero poi accesi sostenitori del conflitto bellico in atto. Lombardo Radice giustificò la sua scelta interventista convinto che la maturazione di coscienza del popolo italiano si sarebbe potuta realizzare solo attraverso la grande prova di una guerra vista come espressa volontà di difesa e di liberazione delle nazionalità oppresse.
I primi due studenti che perirono al fronte, di cui si ha notizia, furono Paolo Vivera da Chiaramonte Gulfi, studente del secondo anno di Giurisprudenza, morto alla Sella di San Martino del Carso la mattina del 21 agosto 1915, e Carmelo Spina da Belpasso, studente del secondo anno di avviamento all’ingegneria (Scienze), morto il 2 ottobre del 1915, e per i quali, per la prima volta nel nostro Ateneo, come risulta dagli annuari, venne esposta la bandiera a mezz’asta, consuetudine che fino ad allora era stata riservata ai soli docenti.
Via via che l’elenco delle ingenti perdite di vite umane si fece sempre più cospicuo l’entusiasmo iniziale venne però meno. Lo stesso Giuseppe Majorana, rettore dello Studium Generale in quegli anni, riferendosi al conflitto, ebbe a dire che “si nutre di sangue, e di olocausto di giovani vite recise”, accantonando i toni retorici di qualche anno prima. Gli echi della guerra, che si era conclusa il 4 novembre 1918, e che aveva segnato con il suo pesante carico di morte la vita di tante famiglie italiane, echeggerà ancora, però, negli anni successivi, tra i corridoi del nostro Ateneo, così come ricorda un passaggio della delibera del Consiglio Accademico d’Ateneo del 27 gennaio 1919 che parla di “agitazioni” tra gli studenti a favore dell’italianità di Fiume e della Dalmazia.