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Due giorni di incontri, dibattiti, tavole rotonde al Monastero dei Benedettini che hanno registrato la partecipazione di personalità nazionali e internazionali di spicco del mondo della sanità, della medicina e della politica
La pandemia da Covid-19 è legata alle malattie infettive più gravi e importanti degli ultimi anni e va considerata con la giusta attenzione e con tutte le azioni conseguenti. Non vanno trascurate, ovviamente, le altre malattie legate al contagio come, solo per citarne alcune, la tubercolosi, l’Aids, l’aviaria e Ebola che circolano nell’area del Mediterraneo e che rappresentano un grave rischio anche a causa degli spostamenti di popolazioni e gente da un’area geografica all’altra.
È stato questo il tema fondamentale del convegno MedCom Forum in Sanità "Le malattie infettive nell'area Mediterranea: criticità e opportunità in una realtà di frontiera", organizzato da CerpMed e patrocinato da Presidenza Regione Siciliana, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Università di Catania, Anci, Federsanità, Rai per il Sociale, Simit Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali, ARNAS Garibaldi, FIMGG Federazione Italiana Medici di Famiglia, con il contributo incondizionato di Gilead Sciences.
Una due giorni di incontri, dibattiti, tavole rotonde, che si è svolta nell’auditorium “Giancarlo De Carlo” del Monastero dei Benedettini dell’Università di Catania e che ha registrato la partecipazione di personalità nazionali e internazionali di spicco del mondo della Sanità, della Medicina e della Politica.
I lavori sono stati aperti dal presidente di CerpMed Amanda Jane Succi, dal rettore dell'Università di Catania Francesco Priolo e dal presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci. In chiusura è intervenuto l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza.
Per Amanda Succi, presidente CerpMed, «il mediterraneo è uno dei posti più a rischio per quanto riguarda le malattie infettive, ma allo stesso tempo, le peculiarità che gli sono proprie, gli conferiscono una particolare unicità». «Questo incontro vuole essere una riflessione sulle malattie infettive, un modo per poter confrontare sguardi differenti alle emergenze sanitarie. “Nessuno si salva da solo”, è questo l’insegnamento più importante che il Covid-19 ci ha trasmesso» ha aggiunto.
«È un piacere e un onore poter ospitare questo incontro in uno dei locali dell’Ateneo – ha detto in apertura il rettore Francesco Priolo -. È motivo d’orgoglio potersi confrontare con colleghi che provengono dall’altra sponda Mediterranea. Parliamo di un tema assolutamente attuale, quello della salute pubblica, che è tornato prepotentemente al centro dell’agenda politica a partire dal devastante impatto che ha avuto sulla società e sull’economia mondiale la pandemia da Covid-19». «Anche sul tema delle malattie infettive, non dobbiamo e non possiamo considerare barriere geografiche, come ci ha dimostrato la grave crisi sanitaria che stiamo attraversando – ha aggiunto -. Il nostro ateneo fornisce di fatto ogni giorno un proprio sostanziale contributo, attraverso le ricerche e l’attività di assistenza su questi fronti, ma non possiamo che guardare con favore alla possibilità di far nascere una rete di cooperazione sanitaria internazionale che si ponga gli obiettivi di assistenza sanitaria efficiente, universale e sicura».
In foto il rettore dell'Università di Catania Francesco Priolo
Per Nello Musumeci, presidente della Regione Siciliana, «il tema di questo incontro è di grande attualità e sono sicuro che da questo momento di confronto usciranno fuori delle grandi iniziative da prendere in seria considerazione». «Il momento che stiamo vivendo è alquanto impegnativo e l’arrivo dei nostri fratelli bisognosi, di cui abbiamo estremo rispetto, grava sul sistema sanitario – ha aggiunto -. La Sicilia ha dovuto pensare, in tempi di pandemia, anche a problemi di diversa natura, provocando un maggiore inasprimento della situazione. Pertanto, auspico che questo incontro si estenda ad un interesse nazionale e non soltanto regionale».
«La grave pandemia in corso non ci deve far dimenticare le emergenze causate dalle altre malattie infettive che producono anch’esse un alto numero di malati e di morti – ha detto Pippo Arcidiacono, assessore alla Salute del Comune di Catania -. Pur essendo a favore dell’accoglienza, auspico che il Governo possa regolarizzare l’arrivo dei migranti ponendo la massima attenzione sui controlli, che dovranno essere severi ed efficaci».
E Alfio Saggio, in rappresentanza del presidente dell’Ordine dei medici di Catania, ha sottolineato che «l’Ordine è in prima linea nell’emergenza Covid, ci spendiamo come possiamo e diamo avvio a diverse iniziative». «L’ultima, in particolare, è stata quella di convincere, ragionevolmente, specialisti del corpo sanitario affinché non fossero sospesi e allontanati dal posto di lavoro» ha aggiunto.
A seguire Renato Bernardini, ordinario di Farmacologia dell’Università di Catania e membro del Consiglio Nazionale AIFA, ha evidenziato che «la situazione emergenziale ha imposto un cambiamento di passo repentino, causando inizialmente un po’ di scompiglio e di confusione». «Questo è stato il presupposto per imparare nuove metodologie, un modo per imparare ad approcciarsi a problemi ignoti e a velocizzare i tempi – ha aggiunto -. Il dover decidere velocemente, ha fatto sì che ci si dedicasse tempestivamente alla scoperta del vaccino».
Ruggero Razza, assessore alla Salute della Regione siciliana, ha sottolineato «che la pandemia ha rappresentato una grande occasione per confrontarsi in maniera attiva». «Oggi noi di malattie infettive ci occupiamo in relazione al Covid, ma in realtà ci sono tante altre malattie infettive – ha aggiunto -. La Sicilia è particolarmente fortunata, in quanto gode di strutture specializzate per le malattie infettive in tutte le provincie, ad eccezione di Agrigento e di Trapani alle quali si sta provvedendo. Questo ci ha consentito di affrontare in maniera adeguata l’emergenza e di continuare a preoccuparci di tutte le altre malattie, senza lasciarne al margine nessuna. Noi dobbiamo essere pronti ad altre pandemie, anche perché il cambiamento climatico porta con sé diversi agenti virali a cui dobbiamo reagire tempestivamente, facendo tesoro di quanto successo in questi mesi. La scelta più importante che questa regione sta compiendo è quella di chiedere che la Sicilia diventi centro delle grande pandemie. Il nostro presente deve cambiare per essere forte il nostro domani. Spero che la Sicilia diventi di nuovo un punto di riferimento come la sua storia ha insegnato».
In foto l'assessore regionale alla Salute Ruggero Razza
Da sottolineare i contributi da parte di un intero staff di medici ed esperti libici guidato dal giovanissimo direttore generale del Centro Nazionale per il Controllo delle Malattie in Libia, Haider Muftah Salem El Saeh, e della responsabile della comunicazione della Sanità in Tunisia Balkis Ben Gaga, che hanno messo sotto i riflettori tutte le tematiche sanitarie legate al flusso dei migranti verso le nostre coste.
Nel corso dei lavori sono intervenuti anche Angelo Aliquò, Renato Bernardini, Bruno Cacopardo, Paola Carruba, Daniela Cirillo, Valentino Confalone, Fabrizio De Nicola, Antonio Decaro, Tiziana Frittelli, Massimo Galli, Carmelo Iacobello, David Lazzari, Francesca Lecci, Arturo Montineri, Giuseppe Nunnari, Anna Teresa Palamara, Claudio Pulvirenti, Gianni Rezza, Francesco Santocono, Silvestro Scotti, Daniela Segreto, Marcello Tavio, Mario Zappia.
Nell’intervallo tra una tavola rotonda e l’altra è stato proiettato il cortometraggio sul problema dell’AIDS “Io e Freddie: una specie di magia”, scritto e diretto da Francesco Santocono e interpretato da Gabriele Vitale, Luca Villaggio, Stella Egitto e Alessandro Haber.
Moderatori dei vari dibattiti i giornalisti Antonella Guerrieri, Melania Tanteri, Michele Ferraro e Luca Ciliberti.
In foto la delegazione dei medici libici
Gli altri interventi
Marcello Tavio, presidente nazionale Simit Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali: In questo momento siamo tutti vicini, nessuno è lontano. Noi non ci accontentiamo più di essere buoni medici, vogliamo spingerci verso l’eccellenza. La sfida che oggi dobbiamo accogliere è quella di creare una rete di reti, vale a dire una interconnessione tra le varie discipline specialiste.
Paola Carruba, psicologa, psicodiagnosta, Direzione Rai per il Sociale: Tutti gli eventi della vita cambiano quello che siamo, motivo per cui noi non siamo mai uguali a noi stessi nel corso del tempo. Sicuramente la pandemia ha acuito tutte le differenze, ma direi di evitare di attribuire alla pandemia una sottrazione perenne, come se ci avesse tolto tutto. Rendere la situazione più drammatica di quello che è, non ci aiuterà.
Silvestro Scotti, segretario generale nazionale FIMMG: La carenza dei dispositivi e di ambienti opportuni, nei territori in cui l’offerta era parcellare, ha provocato un disagio iniziale. Come medici di Medicina Generale ci siamo auto-organizzati più velocemente possibile per arginare la malattia, ad esempio le maschere subacquee sono diventate maschere protettive. Successivamente, attraverso gli aiuti sanitari, c’è stata una vera e propria riorganizzazione che ci ha permesso di affrontare più serenamente l’emergenza.
David Lazzari, presidente Consiglio Nazionale Ordine Psicologi: L’idea di poter gestire questa emergenza Paese per Paese, senza alcuna cooperazione, è illusoria. Le tecnologie odierne hanno creato un ponte in grado di arginare la solitudine. Non è tanto importante con quante persone siamo a contatto, ma è il sentirci interconnessi con gli altri a fare la differenza. Questa pandemia ha sicuramente portato nuove riflessioni. Dalla pandemia usciremo in due modi: o verso l’alto o verso il basso, migliori o peggiori.
Valentino Confalone, amministratore delegato di Gilead Sciences: Gilead non fa ricerca su vaccini ma piuttosto sui trattamenti, sulle cure. Ad esempio, all’inizio della pandemia, opportunatamente, è stato impiegato un farmaco contro l’ebola.Purtroppo oggi non c’è una cura per il Covid-19, quindi cerchiamo di lavorare quanto più possibile sulla sintomatologia. I trattamenti devono essere accessibili a tutti, anche a quella fascia di popolazione che non dispone di possibilità economica.
Anna Teresa Palamara, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità: Per controllare l’emergenza, innanzitutto bisogna conoscere appieno la situazione epidemologica. Inoltre, bisognerebbe mettere in piedi dei programmi condivisi con quei Paesi con cui avviene uno scambio di merci e di persone, in quanto questi scambi rendono più fertile il terreno del contagio. L’unico modo reale per avere il controllo sulle malattie infettive è quello di creare una rete importante di ricerca. L’aiuto dei cittadini potrebbe essere quello di migliorare l’alfabetizzazione tesa a comprendere cosa sia una pandemia, quali sono i rischi e quali le soluzioni.
Tiziana Frittelli, Presidente Federsanità Anci: Tante cose sono cambiate con la pandemia. Ad esempio, prima che ci fosse il covid, nessun ospedale in Italia aveva i percorsi respiratori e ordinari separati. Nella gestione dell’emergenza, un aiuto immenso è stato offerto all’infettivologia italiana, li ringrazio uno per uno. Penso onestamente che, una volta finito tutto questo, non saremo più gli stessi. Durante la pandemia, le modalità comunicative non hanno fatto altro che creare disordine e divisione. Capita spesso che, in particolar modo nei salotti televisivi, si dibatte ore ore su argomenti che non si conoscono e che lasciano ai margini il supporto e l’importanza dei virologi e degli infettivologi.
Claudio Pulvirenti, direttore degli Uffici di Sanità marittima, aerea e di frontiera e Servizi di assistenza sanitaria ai naviganti marittimi del Ministero della Salute: Oltre al Covid non abbiamo smesso di attenzionare le altre malattie infettive, alcune molto più letali. Abbiamo casi importanti di aviaria, la cintura meningitica dell’Africa, il polio virus, la febbre gialla, il vaiolo. Una situazione epidemiologica molto complessa. Siamo circondati dalla malattie infettive. Sin dal 2915 ci siamo organizzati nel settore del biocontenimento e dell’alto biocontenimento, spinti dall’epidemia di Ebola, molto grave e pericolosa, per gestire eventuali casi gravi in occasione degli sbarchi di migranti. Oggi possiamo garantire una notevole sicurezza. Controlli importanti e accurati sia in aeroporto, in collaborazione con l’Aeronautica, sia al porto, con la Marina Militare.
Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione del Ministero dalla Salute: In questi due anni ci siamo attrezzati per fronteggiare la pandemia. Dopo la prima ondata il sistema si è assestato e siamo riusciti a tenere basso l’impatto. La campagna vaccinale, che in Italia ha avuto particolare successo, ha notevolmente fatto migliorare la situazione. Il nostro obiettivo è quello di non fare ammalare le persone, non congestionare le terapie intensive e non fare morire nessuno. La terza dose e la prudenza sono armi decisive. Nel contempo stiamo preparando alcuni piani per affrontare in maniera adeguata eventuali, nuove, future minacce. Gli eventi pandemici hanno un imbatto molto profondo economico e sociale, Abbiamo davanti diverse sfide: la questione demografica con una popolazione che è sempre più vecchia; le risorse per nuovi farmaci e nuove tecnologie che affrontino le nuove esigenze; l’organizzazione di un sistema che deve essere più capillare. Abbiamo bisogno di nuove istituzione e di prenderci la responsabilità affinché non si sfoci in situazioni di elevata criticità. Dobbiamo passare da una disintegrazione ad una integrazione tra i vari saperi, in modo da creare un sistema che legga in modo diverso le situazioni
Francesco Santocono, responsabile comunicazione Arnas Garibaldi di Catania: Un problema fondamentale, più che la salute fisica, riguarda la salute mentale, compromessa dalla paura di morire. Questo fa sì che la comunicazione rivesta un ruolo importante, in quanto attraverso l’interazione si può capire l’effettiva natura della malattia, avere una conoscenza chiara. Stessa cosa accadde con l’HIV, che inizialmente sembrava essere la malattia di pochi e, dopo la morte di un noto attore Americano, si capì che invece era la malattia di molti. Come accadde con l’AIDS, c’è bisogno di una fase iniziale di comprensione seguita da una fase di consapevolezza. Abbiamo bisogno di capire che le malattie infettive non sono soltanto una questione sanitaria ma sono, soprattutto, una questione di educazione sanitaria.
Balkis Ben Gaga, Responsabile della Comunicazione della Sanità in Tunisia: Credo che ci sia bisogno di avere delle interconnessioni, bisogna essere più inclusivi possibile e instaurare un rapporto di confronto e collaborazione con gli altri Paesi. Durante l’epidemia da HIV, molte persone non hanno ricevuto delle cure e ci siamo mobilitati tempestivamente affinché si potesse intervenire in tempo e arginare la malattia. Attraverso la comunicazione, abbiamo provato a convincere i medici a procedere con la vaccinazione. Il problema non è soltanto sanitario, c’è sempre bisogno di unire l’aspetto sanitario all’aspetto psicologico Il nostro obiettivo è quello, attraverso un test, di accertarci quanto prima se si è stati affetti dall’HIV. Anche il problema dell’immigrazione, non è indifferente. La Tunisia è una Terra di passaggio, percorsa prima ancora di arrivare in Italia. Purtroppo sono persone che molto spesso non dispongono di documenti ufficiali, quindi occupano illegalmente il nostro Paese e passano in Italia senza alcuna legalità. C’è bisogno di una strategia inclusiva, in particolar modo tra Italia e Tunisia.
Haider Muftah Salem El Saeh, Direttore Generale del Centro Nazionale per il Controllo delle Malattie in Libia: Le nuove malattie emergenti nel Sud Africa, dotato di uno scadente sistema sanitario, ci rendono particolarmente vulnerabili. La nostra situazione è compromessa dal fatto che siamo lo sbocco per lo slancio verso l’Europa, di cui l’Italia è il Paese ospite. Noi stiamo cercando di fare qualcosa per la nostra gente, per i migranti e per le Terre confinanti. Nel 2016, con il supporto delle OMS, abbiamo istituito siti sentinella affinché potessero essere sorvegliate quanto più malattie infettive. Ma anche qui, siamo stati tutti sopraffatti dal Covid-19, un problema emergenziale che ci ha costretto a lasciare al margine le altre malattie infettive. Sfortunatamente in Libia il livello di vaccinazione si è fermato al 25% e abbiamo cercato di capire da cosa dipendesse questa scelta. Inizialmente abbiamo tentato lo sputnik e un altro vaccino cinese, ma la popolazione si è rifiutata di utilizzare “prodotti” esterni. Solo adesso, che la gente ha il vaccino che vuole, il livello di vaccinazione è salito. Abbiamo addirittura scoperto dei gruppi “no-vax”; inizialmente pensavamo che questa scelta fosse causata da un’istruzione carente, invece ho scoperto che molta gente “no-vax” è ben istruita. Abbiamo bisogno di cooperare tutti, solo così possiamo fare qualcosa. Abbiamo bisogno di cambiare strategia, una strategia nuova dal punto di vista della comunicazione. Vorrei pensare alla possibilità di instaurare un rapporto di cooperazione, un modo per includere e risolvere.
Hanan Mohamed Abuabaid, Direttrice del Dipartimento di controllo della malattie zoonotiche e parassitologiche in Libia: Le malattie zoonotiche sono molto trascurate, ma in realtà rappresentano un problema non indifferente, poiché la maggior parte delle malattie infettive ha un’origine animale. Ci sono altri fattori che possono contribuire alla sottovalutazione delle malattie zoonotiche. Per quanto riguarda gli umani, ci sono difficoltà di trasporto negli ospedali e incombe un problema di comunicazione, in quanto il personale medico non sempre è in grado di rilevare malattie di origine animale se non ci sono segni evidenti e sintomatologie specifiche. Le prospettive future riguardano l‘implementazione di specialisti e uno sguardo differente e rigoroso nei confronti delle malattie zoonotiche.
Mohamed Faraj Furjani, Direttore del Dipartimento di controllo tubercolosi e lebbra in Libia: Ogni anno c’è uno studio per comprendere sempre più la tubercolosi, per noi è una risorsa in continuo aggiornamento in cui ritroviamo svariati dati clinici che ci aiutano a comprendere l’evolversi della malattia, anche in base alla sintomatologia dei pazienti. Si tratta di un certificato che riguarda la Libia e non solo. Il problema di questa malattia, è che il paziente affetto dalla tubercolosi per i primi tre mesi risulta negativo al test, per cui è difficile diagnosticare in via iniziale la positività alla malattia. La situazione si aggrava quando questi pazienti sospetti si allontanano dalla nostra Terra e non riusciamo più a seguirli, come i migranti che si spostano in Paesi europei. Ci sono dei limiti che vanno superati. E’ tempo di unire i Paesi dell’area mediterranea.
Ahmed Mohamed Emhemed Alaruusi, Medico del Dipartimento di Emergenza della Salute Pubblica in Libia: A livello del Mediterraneo siamo molto vicini, se avessimo avuto un piano di controllo già pronto, sicuramente avremmo potuto affrontare la situazione in modo più dinamico e sereno. In questo periodo pandemico, abbiamo fatto il giro di tutta la costa Libica per aiutare chiunque ne avesse bisogno e per ricoprire quei vuoti e quei dubbi causati dalla poca informazione e, molto spesso, dall’istruzione carente. I dati, a livello internazionale, ad eccezione di 4-5 nazioni, ci dicono che siamo molto sotto il livello minimo utile ad affrontare le emergenze sanitarie. E’ il momento giusto di iniziare a reagire, altrimenti una catastrofe futura potrebbe distruggere qualsiasi sistema si trovi impreparato.
Hussain Muhammad Muhammed Bin Othman, Direttore del Dipartimento di controllo dell’AIDS in Libia: La modalità di trasmissione dell’HIV in Libia è per il 40% per via endovenosa, il 4% per via sessuale. Noi stiamo cercando di limitare la trasmissione della malattia da madre a figlio. e ci impegniamo giornalmente per affinare la sensibilizzazione al problema. La sfida principale del nostro programma è quella di eliminare la stigmatizzazione nei confronti di coloro i quali sono affetti da HIV. Spero in un miglioramento del sopporto tecnico e spero che si proceda alla creazione di una piattaforma riguardante la cura e il trattamento dei pazienti.
Daniela Segreto, Dirigente Responsabile Ufficio Comunicazione Assessorato alla Salute della Regione Siciliana: La prevenzione davvero efficace determina un risparmio nel sistema sanitario abnorme. L’efficacia della prevenzione è determinata dalla comunicazione, che permette la segnalazione di malattie infettive. In secondo luogo, l’interesse si sposta sul piano della comunicazione del rischio. La differenza tra ieri e oggi sicuramente risiede nella diminuzione dello stigma nei confronti delle persone infette, ci siamo finalmente resi conto che il problema è il virus e non la persona come accadeva con l’HIV.
Angelo Aliquò, Direttore Generale Asp Ragusa: Le campagne di comunicazione sono un modo per essere sempre vicini. Non è una gara a chi fa la comunicazione più bella, quella migliore è quella che arriva dritta e chiara al cuore e alla mente della gente. La comunicazione deve saper orientare. Altro problema riguarda il flusso migratorio che è spesso difficile da gestire e richiede ogni giorno di reinventarsi e di prestarsi affinché si possa agire in modo proficuo. Non dimentichiamo che i problemi non riguardano soltanto il covid, esistono tante altre malattie infettive.
Fabrizio De Nicola, Direttore Generale Arnas Garibaldi Catania: Spesso nelle guerre si condividono percorsi di eccellenza, in questo caso l’eccellenza italiana è stata quella di reagire e reagire bene. Il Paese Italia non è stato secondo a nessuno. In Sicilia, abbiamo dato il meglio di noi, ci siamo sforzati di creare un supporto quanto più proficuo. Siamo stati fortunati perché quei 45 giorni di “preavviso”, prima che il virus ci toccasse da vicino, sono stati fondamentali.
Mario Carmelo Zappia, Commissario straordinario Asp Agrigento: Cosa dobbiamo fare adesso? L’obiettivo a cui dobbiamo protendere è quello di contenere il virus come è successo in altri Paesi, seppure con misure poco democratiche. C’è bisogno di rafforzare il Territorio, oppure saremo costretti a reinventarci qualcos’altro. Il vaccino, da solo, ci darà la possibilità di poter circolare ma non risolverà il problema.
Massimo Galli, Ordinario di Malattie infettive Università di Milano: In questo momento gli individui sotto i 19 anni sono un importante serbatoio per la circolazione del virus, in quanto la percentuale di vaccinazione è minore e c’è anche un problema di sottodiagnosi. E’ vero che in questa fascia la letalità è minore, ma comunque vaccinarsi è importante, per noi stessi e per gli altri.
Daniela Cirillo, Direttore dell’Unità Emerging Bacterial Pathogen dell’Istituto San Raffaele di Milano: Noi siamo scioccati dal covid, ma in altri Paesi ci si scontra ogni giorno e ogni anno con delle malattie ancora più letali. In particolare, l’interesse dell’area Mediterranea fa capo alla tubercolosi. La tubercolosi, in un soggetto infetto, può manifestarsi anche dopo anni, in seguito a qualche agente scatenante. Quindi questo tipo di epidemia, a differenza del covid, è più difficile da arginare in quanto si propaga nel tempo e vanifica i progressi fatti di anno in anno.
Antonio Decaro, Presidente dell’Anci: Noi sindaci, alla luce della pandemia, abbiamo fatto delle cose eccezionali considerando che il Covid non rispetta i limiti amministrati e quindi abbiamo ceduto le nostre prerogative in favore delle ordinanze che avessero carattere generale. Abbiamo adottato dei criteri uniformi. Ci siamo ritrovati a scendere per strada a spiegare ai nostri concittadini quello che stava accadendo, la sua gravità.
Bruno Cacopardo, Ordinario di Malattie Infettive Università di Catania e Direttore Unità Malattie Infettive Arnas Garibaldi Catania – Carmelo Iacobello, Direttore UOC Malattie Infettive·Azienda ospedaliera Cannizzaro Catania - Arturo Montineri, Direttore Malattie infettive e Tropicali Ospedale San Marco Catania - Giuseppe Nunnari, professore ordinario di Malattie Infettive dell’Università di Messina e direttore dell’UOC di malattie Infettive del Policlinico G. Martino: Esistono individui che non sono predisposti a fare il vaccino senza porsi delle domande. Ci sono individui che non hanno recepito bene le informazioni, e queste sono facilmente recuperabili, ma c’è anche chi ha recepito male le informazioni e c’è pure chi dice no a tutto, persone non inclusive e ostili aprioristicamente. Vorremmo preservare la filosofia del vaccino, piuttosto che parlare dello scontro sì vax e no vax. Anche perché crediamo che i no vax ideologizzati non si recupereranno mai. A volte è capitato che la scienza si sia piegata alla politica, e questo vorremmo non accadesse. Noi crediamo che alle industrie produttrici di vaccino dovremmo imporre il rinnovamento del vaccino stesso, adeguato alle novità del virus. Noi pensiamo che sia arrivato il momento di penalizzare coloro i quali non sono vaccinati. Questo semplicemente perché pensiamo sia stia togliendo tempo e spazio a chi invece, coscienziosamente, ha scelto di vaccinarsi.
Foto di Davide Anastasi