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Il presidente Comitato nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita è stato ospite del dipartimento di Scienze biomediche e biotecnologiche per parlare di università e ricerca
Ultime notizie dal ‘fronte’ università e ricerca: le ha raccontate alla comunità accademica “pur senza elmetto e baionetta”, ma con la consumata capacità di discernere tra speranze e certezze, dati di fatto (e soprattutto numeri) e illusioni, acquisita in vent’anni di militanza al Consiglio universitario nazionale il prof. Andrea Lenzi, ospite d’onore venerdì pomeriggio alla Torre biologica dell’Università di Catania.
L’endocrinologo de La Sapienza – che nella tappa etnea non ha mancato di riservare un omaggio al ‘maestro’ catanese Riccardo Vigneri –, dopo aver presieduto il Cun dal 2007 al 2017, attualmente è il presidente del Comitato nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della presidenza del Consiglio dei Ministri e anche del Comitato nazionale dei Garanti per la Ricerca del Miur.
“Bene ha fatto il professor Filippo Drago, direttore del dipartimento Biometec – ha sottolineato il rettore Francesco Basile – a non lasciarsi sfuggire l’occasione di avere nel nostro ateneo il prof. Lenzi, che ha rilevato più volte pubblicamente come negli ultimi vent’anni il sistema universitario italiano abbia sofferto una pesante riduzione, tra il 20 e il 25%, di risorse e di personale, patendo inoltre per l’assenza di misure efficaci per il diritto allo studio”. Lo stesso prof. Drago ha ricordato come la presenza del presidente del Comitato nazionale coincida con il recente accreditamento ministeriale di un nuovo corso di laurea in Biotecnologie proprio nel suo dipartimento, che ha nella ricerca – e adesso anche nell’insegnamento – in aree biotecnologiche il proprio “core business”.
Rispondendo agli spunti offerti dal rettore Basile, ma raccogliendo anche molte delle attese del pubblico di accademici presenti, Lenzi ha toccato un po’ tutti gli argomenti mainstream confessando di provare “non poca curiosità nei confronti di quanto metterà in cantiere il nuovo esecutivo nel settore dell’Università e della Ricerca, a parte quelle poche linee programmatiche conosciute tratte dal contratto di governo, come ad esempio la cabina di regia unica sulla ricerca”. “Speriamo non siano timidi – paventa Lenzi -, come in fondo sono stati tutti i governi precedenti di centro destra e di centro sinistra”. “L’Università – ha proseguito il docente – non può essere considerato un comparto della pubblica amministrazione come gli altri. Anche per la sua origine millenaria, è un pilastro fondamentale del nostro Stato, ma come tale deve adattarsi ai tempi, essere consapevole della sua responsabilità sociale, in termini di formazione, innovazione e valore culturale, e avere maggiore connessione con la società”.
“Quello italiano – ha sottolineato – è uno straordinario sistema universitario medio, dove mancano le eccellenze che caratterizzano invece altri Paesi come la Francia, l’Inghilterra, la Germania o gli Stati uniti. Oggi servono competitività e premialità vere, perché ancora scontiamo i danni degli errori commessi negli anni ’80, quando venne rigettata la cultura della valutazione”.
Una ‘buona università’ è dunque ancora possibile? “Probabilmente sì – ha riflettuto Lenzi, dettando qualche proposta -, se si interviene con decisione sulle risorse, sulla riduzione di figure e ruoli presenti nel mondo accademico, sulla revisione dei settori scientifico-disciplinari. E poi, se una volta si smette di raccontare all’opinione pubblica che la ricerca è quasi un hobby e che invece tutto ciò che ci circonda è frutto dell’attività dei ricercatori. E se agli stessi ricercatori si comincia ad insegnare anche come fare business attraverso l’innovazione prodotta nei laboratori universitari”.