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Il team di ricerca Unict-IIT ha individuato uno specifico meccanismo genetico che influenza l’efficacia dei farmaci antipsicotici
In uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale "Molecular Psychiatry” del gruppo Nature, ricercatori dell’Università di Catania e dell’Istituto Italiano di Tecnologia hanno realizzato una scoperta sul ruolo della genetica nella schizofrenia, contribuendo a chiarire la variabilità nell’efficacia dei farmaci antipsicotici. I ricercatori, infatti, hanno dimostrato che l’interazione di due specifici geni (DTNBP1 e D3*) è determinante per migliorare gli effetti dei farmaci antipsicotici. Tale risultato suggerisce la possibilità di definire in futuro terapie personalizzate basate sul profilo genetico del paziente.
Il team di ricerca è stato coordinato da Gian Marco Leggio, ricercatore nel gruppo diretto dal Prof. Filippo Drago, presso l’Università di Catania, e da Francesco Papaleo, senior researcher dell’Istituto Italiano di Tecnologia a Genova, ed è stato in parte supportato dalla Compagnia di San Paolo.
Lo studio è frutto di una collaborazione che ha saputo combinare le conoscenze acquisite negli anni precedenti dai due gruppi di ricerca: l’Università di Catania sulla comprensione del recettore D3 per la dopamina nelle malattie psichiatriche e l’Istituto Italiano di Tecnologia sul gene DTNBP1 nella schizofrenia. In particolare, lo scorso anno con un articolo apparso sulla rivista Nature Communications, il gruppo di Papaleo aveva dimostrato un ruolo essenziale per il gene DTNBP1 nel modulare le risposte cognitive ai farmaci antipsicotici. Oggi, questa nuova scoperta, svela come gli effetti cognitivi del gene DTNBP1 siano modulati dall’interazione con il gene per il recettore D3 per la dopamina, mostrando in maniera più chiara gli squilibri biologici alla base della schizofrenia.
Grazie all’uso di un database messo a disposizione dal National Institutes of Health (USA) che include i dati relativi ad un campione di 393 pazienti con schizofrenia, il team di ricerca ha dimostrato che i soggetti che presentano contemporaneamente variazioni dei geni DTNBP1 e D3 (che può riguardare dal 10% al 20% dei soggetti), mostrano migliori risposte terapeutiche nell’area cognitiva ai farmaci antipsicotici.
A conferma dei risultati ottenuti, il team ha riprodotto le stesse condizioni genetiche presenti nei pazienti in un modello animale geneticamente modificato, riuscendo così a ricostruire e a descrivere i meccanismi molecolari e funzionali attraverso cui i due geni DTNBP1 e D3 interagiscono tra loro modulando la risposta ai farmaci antipsicotici.
“Comprendere il ruolo della componente genetica nelle risposte cognitive ai trattamenti farmacologici – dichiara Francesco Papaleo - è il primo passo per sviluppare terapie mirate ed efficaci contro questa malattia”. “I nostri risultati consentiranno di distinguere i soggetti che, in base al corredo genetico, rispondono meglio alla terapia e quelli che invece non rispondono positivamente ai farmaci antipsicotici, consentendo di applicare terapie efficaci per tutti i pazienti” conclude, Gian Marco Leggio.
Il trattamento dei disturbi cognitivi in ambito psichiatrico rappresenta un’esigenza clinica ancora irrisolta. I farmaci disponibili oggi sul mercato, infatti, riescono a migliorare solo in parte le alterazioni cognitive e solo in una piccola percentuale di pazienti. Negli ultimi anni la ricerca è tornata a dedicare grande attenzione allo studio degli aspetti cognitivi della malattia, sia perché essi costituiscono un’importante causa di disabilità, sia perché le alterazioni neurobiologiche correlate a queste disabilità sono utili per capire i meccanismi fisiopatologici alla base della malattia stessa.
Per approfondimenti: G.M. Leggio*, S.A. Torrisi, R. Mastrogiacomo, D. Mauro, M. Chisari, C. Devroye, D. Scheggia, M. Nigro, F. Geraci, N. Pintori, G. Giurdanella, L. Costa, C. Bucolo, V. Ferretti, M.A. Sortino, L. Ciranna, M.A. De Luca, M. Mereu, F. Managò, S. Salomone, F. Drago, and F. Papaleo* “The epistatic interaction between the dopamine D3 receptor and dysbindin-1 modulates higher-order cognitive functions in mice and humans”. doi: 10.1038/s41380-019-0511-4.
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