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Intervento del prof. Davide Arcidiacono, associato di Sociologia economica del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Catania
I termini innovazione e creatività sono ripetuti come il “mantra” ossessivo della nostra contemporaneità, seppure i confini qualificanti di questa reiterazione si modifichino continuamente: oggi, quando pensiamo a qualcosa di innovativo lo pensiamo soprattutto digitale, green, meglio se elaborato in forma aperta, collaborativa o socialmente inclusiva. Inoltre, queste parole non sono solo le più evocate del nostro tempo ma anche le più banalizzate nel dibattito pubblico.
Ricordarlo non è retorico, in particolare nel World Creativity and Innovation Day, istituito dalla Nazioni Unite per celebrare ogni 21 aprile proprio la rilevanza di questi temi per lo sviluppo e il benessere mondiale. Affinché questa occasione di celebrazione non sia meramente rituale, occorre più che mai chiarire in cosa consista davvero questa innovazione e creatività di cui parliamo tanto, aldilà degli stereotipi e delle retoriche. Non di meno, occorre guardare con spirito critico dove ci collochiamo Noi, come Paese e come regione, nello scenario dell’innovazione e della creatività mondiale, perché, come diceva Matissé, “vedere è già di per sé un atto creativo”.
Se il termine creatività rimanda a una dinamica cognitiva, alimentata dal pensiero divergente per la generazione e trasformazione di nuove idee, quello di innovazione si riferisce piuttosto ad un processo istituzionalizzato di cambiamento che si nutre di risorse creative ma richiede tempi e sforzi che vanno al di là delle capacità individuali.
Promuovere l’innovazione e la creatività (nonché governarla) è assai più complesso di come traspaia dagli stereotipi o dalla retorica delle biografie eccellenti di Steve Jobs o del mito dei garage startapper divenuti milionari. Innovazione e creatività sono un processo faticoso, spesso diseguale, che si confronta quotidianamente con contraddizioni, insicurezze e fallimenti, in maniera pressoché costante e ricorsiva: più del 9o% dei nuovi prodotti lanciati sul mercato falliscono e solo il 50% delle start-up italiane sopravvivono dopo cinque anni; allo stesso modo i lavoratori italiani dell’indispensabile settore delle industrie culturali e creative sono anche tra i più precari di un’economia in parte sommersa, con carriere sempre più frammentate, nonché spesso impossibilitati ad accedere ad adeguati schemi di protezione sociale.
Il processo di innovazione è, come diceva Schumpeter, un processo di “distruzione creatrice” che mette in discussione lo status quo, disarticola gli equilibri esistenti e può portare anche all’exit o al fallimento di interi comparti o imprese “incapaci” di intercettare il cambiamento. Per questo, può genere conflitti e resistenze che richiedono il tempo necessario a costruire il consenso per legittimarla. Ma la creatività si qualifica anche processo di serendipity, ovvero nasce dagli effetti inattesi che possono determinarsi dalla crisi e dal fallimento: ad esempio, il farmacista statunitense, John Stith Pemberton stava pensando di creare un rimedio per l’emicrania quando diede vita ad una delle bibite più famose della storia, la Coca-Cola.
L’innovazione è soprattutto un processo eco-sistemico, in quanto la creatività è radicata nelle reti di collaborazione e nelle risorse (tangibili e intangibili) mobilitabili territorialmente. I creativi, come diceva Florida, tendono a concentrarsi proprio in luoghi in cui si addensano maggiori opportunità e risorse (ad esempio, i grandi contesti urbani e metropolitani). Lo Stato è il primo vero innovatore (o abilitatore dell’innovazione), come direbbe Mazzucato, perché è quello che più di altri fornisce quei beni collettivi (infrastrutture, capitale umano, conoscenze scientifiche, ecc.) senza cui l’innovazione non potrebbe esistere.
In questo senso, l’ecosistema Italia non è ancora “un paese per innovatori”: secondo i dati analizzati dell’European Innovation Scoreboard, siamo una realtà “moderatamente” innovatrice, poco specializzata nei settori dell’alta tecnologia e con una “intensità brevettuale” sotto la media UE (5.4 domande di brevetto nell’High Tech per milione di abitanti, contro 15.6 dell’UE e i 30.5 della Germania). L’Italia sarebbe caratterizzata da un più basso livello di capitale umano e di investimenti in Istruzione Terziaria, più bassa spesa in ricerca e sviluppo in percentuale al PIL, minore capacità di sviluppare collaborazioni e reti, in particolare con il mondo dell’Università e della ricerca, ma anche una minore qualità della regolazione e dei processi amministrativi.
La Sicilia si colloca in 187esima posizione nel EU Regional Innovation Index con un punteggio pari 56,5 (media dell’Unione Europea uguale a 100), mentre la distanza con le regioni leader nel campo dell’innovazione appare abissale (le top 10 sono comprese in un campo di variazione tra 160,1 e 140,7). Secondo Istat, la Sicilia è seconda solo alla Campania per spesa R&S Intra-muros rispetto al PIL (0,83%) tra le regioni del Mezzogiorno, seppure lontana dai valori di oltre il 2% di regioni come Lazio, Emilia Romagna e Piemonte.
In questo scenario, l’emergenza pandemica ha contributo a generare effetti ambivalenti su innovazione e creatività. Con il Covid le industrie culturali e creative sono stato uno dei settori più colpiti, con una perdita del 31% del loro volume d’affari. Al tempo stesso, il Covid ha accelerato il processo di transizione digitale, o almeno la consapevolezza della sua imprescindibile cogenza, soprattutto tra i Paesi che erano più indietro. Tuttavia per il Digital Economy and Society Index (DESI) l’Italia ha ancora un punteggio di 35,1, inferiore alla media EU 47,1. L’analisi a livello regionale di questo dato mostra che le regioni sotto i 30 punti sono tutte del Mezzogiorno e la Sicilia, con un punteggio di 25 su 100, è ancora quintultima a livello nazionale, precedendo di poco Campania, Molise, Abruzzo e Calabria.
Avevano ragione Asso e Trigilia, già nel 2010, a parlare dell’innovazione in Sicilia come il “remare controcorrente”, evidenziando che, al netto di vincoli storici e al perdurare di diseconomie esterne, la regione sia altresì connotata da elementi di vitalità ed effervescenza creativa e imprenditoriale. Il suo ecosistema è ricco di spazi di innovazione aperta – se ne contano circa 103 tra Co-Working, Fab Lab, Hub e Contamination Lab, Centri di Ricerca - secondo una recente ricerca da me condotta all’interno del Piano Pia.Ce.Ri dell’Università di Catania.
La Sicilia, secondo i dati MISE, è settima per numero di start up avviate e le province di Palermo e Catania sono rispettivamente quattordicesime e sedicesime nel ranking nazionale per numero di imprese innovative. Purtroppo, invece, per quanto riguarda il settore dell’Industrie Culturali e Creative, l’isola rappresenta circa il 3,5% del valore aggiunto totale italiano nel comparto, seppure la dotazione di risorse locali, in particolare in termini di beni culturali e ambientali, è in genere meno sperequata tra le città della Sicilia e del Mezzogiorno rispetto alle città del Centro-Nord.
Più il processo di innovazione si fa tumultuoso e incessante (anche attraverso la digitalizzazione), più si creano delle condizioni cumulative di svantaggio che rendono i divari sempre più difficili da colmare. Ciò appare ancor più vero in epoca di PNRR, che rappresenta di certo un’opportunità storica per il Paese e la regione Sicilia, ma che senza un adeguato “governo” dell’innovazione rischia solo di deludere le aspettative messianiche di cui è ammantato questo programma di investimenti. La sua attuazione virtuosa sfida la qualità degli eco-sistemi e dei regimi locali dell’innovazione, la qualità delle loro reti collaborative e dei processi amministrativi e di governance che li animano.
In conclusione, in occasione del World Creativity and Innovation Day dobbiamo tutti ricordarci che l’essere creativi e innovativi necessita di una visione sistemica e di un impegno constante nel cogliere il sapiente intreccio ed equilibrio tra valore individuale e valore collettivo, tra marginalità e centralità, tra apertura e chiusura, tra tradizione e novità. L’innovazione non va celebrata o evocata, va immaginata e governata. Ciò non può che valere come monito soprattutto per regioni come la Sicilia, cristallizzata e divisa tra il riflesso della sua gloria passata, la ricchezza dispersa dei suoi talenti e la speranza nebulosa che guida l’immaginazione del suo domani.
Il prof. Davide Arcidiacono