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I manufatti, recuperati dalla GdF nel corso di un’operazione di controllo del territorio, sono stati datati grazie agli esami condotti dai docenti Gueli e Trigona e dai tecnici della Soprintendenza
Grazie alla collaborazione tra l’Università e la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Catania, gli investigatori del Comando Provinciale della Guardia di Finanza hanno potuto accertare l’autenticità di due teste di terracotta, presumibilmente frutto di scavi clandestini, sequestrate durante un servizio di controllo economico del territorio, in un’area di servizio di Belpasso, certificandone l’assoluto valore storico-archeologico.
Si tratta di due manufatti raffiguranti il volto di un uomo e di una donna, la cui foggia richiamava antiche sculture greche. Il prof. Fabrizio Nicoletti, archeologo della Soprintendenza, ha ipotizzato immediatamente che le due teste potessero essere originali e risalire al V sec. a.C., il cosiddetto periodo “Severo” dell’Arte Greca. Le analisi e gli esami tecnico-scientifici condotte dai docenti Anna Gueli, del dipartimento di Fisica e Astronomia, e Carlo Trigona, del dipartimento di Ingegneria elettrica, elettronica e informatica, hanno permesso di definire l’esatta datazione delle opere, ritenute pezzi unici nel panorama noto della storia antica, con un’altissima qualità estetica ed esecutiva, risalenti al 450-480 a.C.
Soddisfazione è stata espressa dal rettore Francesco Priolo che si è complimentato con la Guardia di Finanza per aver mostrato particolare capacità e attenzione nel corso di un’operazione che ha permesso di recuperare e mettere al sicuro un patrimonio archeologico di particolare rilievo: «Voglio sottolineare il valore aggiunto che scaturisce dall’azione congiunta di tre diverse istituzioni dello Stato – ha aggiunto il rettore, che ha partecipato alla conferenza stampa nella sede di via Crociferi della Gdf insieme al Comandante provinciale generale Antonino Raimondo e alla Soprintendente Donatella Aprile –, ciascuna con il proprio contributo di professionalità. I nostri laboratori hanno condotto in maniera meticolosa quelle indagini e quelle analisi chimico-fisiche che permettono di risalire alla data di realizzazione dei manufatti, misurando l’energia che si accumula nel tempo sugli oggetti».
In particolare, gli archeologi della Soprintendenza ritengono si possa trattare delle parti superstiti di due tegole a sezione triangolare chiuse da maschere antropomorfe, di dimensioni naturali, raffiguranti i giovani volti di un uomo e di una donna. Le due tegole appartengono al tipo del kalypteregemon, caratteristico delle falde di copertura di un edificio sacro o di carattere funerario, che in questo caso sarà stato di piccole dimensioni. Nell’ambito di questo sistema di copertura Il kalypter è una tegola a forma di coppo destinata a coprire i giunti accostati di due tegole piatte con listello, dette solenes.
I due volti , in eccellente stato di conservazione, non hanno carattere ritrattistico e non rivelano alcun elemento che ne caratterizzi la personificazione con figure della religione o del mito. Entrambi, pur ricomposti da alcuni frammenti, presentano volumi netti, con spigoli ancora vivi, da cui si desume che, nonostante fossero destinati a decorare il tetto di un edificio, non siano rimasti esposti alle intemperie per molto tempo. I manufatti appaiono plasmati dalla stessa mano, appartenente a un artigiano assai abile e conoscitore della grande arte a lui contemporanea. Il maggiore riferimento stilistico è costituito, infatti, dalle sculture frontonali del Tempio di Zeus a Olimpia, massima espressione dello stile Severo dell’arte greca.
La figura maschile è assai simile a quella di Apollo del frontone occidentale mentre quella femminile si confronta con il volto della figura femminile distesa, cui l’accomuna anche il dettaglio della capigliatura trattenuta da un sakkòs. Le sculture di Olimpia si datano alla prima metà del V secolo a.C. e costituiscono l’esempio esponenziale dello stile Severo nell’arte greca, una maniera di transizione tra quella arcaica (fine VII-inizi V sec. a.C.) e quella classica (metà V-metà IV sec. a.C.). I due reperti, devono pertanto datarsi nei decenni compresi tra il 480 e il 450 a.C., ma è comunque molto difficile stabilire il luogo di produzione e di provenienza. Il tipo di tegola a sezione triangolare è estremamente raro, rispetto a quello a sezione semicilindrica, ma è comunque noto altrove, specialmente in Grecia (Corinto, Creta, isole dell’Egeo), ma anche nell’Italia centrale (area etrusco-italica). In Sicilia se ne conosce un esemplare da Selinunte. Tuttavia, a parte la tipologia della tegola, nessuno degli esemplari noti riporta un’antefissa paragonabile alle maschere antropomorfe dei reperti sequestrati.
L’autenticità dei due reperti è stata quindi confermata dalla metodologia messa a punto presso i laboratori PH3DRA dell’Università di Catania da docenti e ricercatori del dipartimento di Fisica e Astronomia “Ettore Majorana”, specialisti nel campo dei test di autenticità tramite termoluminescenza, e del dipartimento di Ingegneria Elettrica Elettronica e Informatica, per le competenze specifiche nell’ambito delle misure elettriche ed elettroniche.
Il test basato sulla Termoluminescenza è stato messo a punto dai docenti dell’Università di Catania nell’ambito dell’attività multidisciplinare in collaborazione con la rete CHNet - Cultural Heritage Network dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e con il Laboratorio del Falso dell’Università di Roma Tre.
La luminescenza, infatti, è alla base di tecniche di datazione di materiali di interesse per il patrimonio culturale quali manufatti in ceramica e terracotta, ma anche laterizi e malte per stabilire la cronologia di edifici storici. Grazie alla collaborazione tra i due dipartimenti è stato quindi possibile mettere a punto una metodologia innovativa che, tramite metodi di trasduzione non invasivi, consente di valutare non solo l’autenticità ma anche la compatibilità con l’età presunta di reperti ceramici.