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La dimensione territoriale del CoViD-19 tra crisi e opportunità

La geografia politico-economica del Coronavirus. Ecco l'intervento del prof. Gianni Petino del Dipartimento di Scienze politiche e sociali

29 Aprile 2020
Gianni Petino

Osservare le dinamiche spaziali del CoViD-19 ha suscitato parecchio interesse nelle comunità scientifiche e tra queste la Geografia, senza distinzione tra i settori scientifici, perché è in occasioni come questa che la disciplina mostra tutta la sua validità nel contribuire alla comprensione dei fenomeni.

Tra i vari aspetti in cui i geografi hanno trovato rinnovato interesse c’è la dimensione territoriale del virus, cioè la relazione della malattia con l’ambiente per così dire costruito. Come non ricordare infatti l’impressionante proliferazione di grafici e mappe, non appena si è avuta disponibilità di dati consolidati e verificati di cui si possedeva anche l’informazione spaziale.

Mappare le persone infette nello spazio non è tuttavia pratica nuova e neanche dipendente da nuovi strumenti, basti ricordare la mappatura di Broad Street risalente alla metà dell’800; la strada del quartiere londinese di Soho era ritenuta, a ragione, il centro di una epidemia di Colera, la cui diffusione si scoprì provenire da una struttura idrica da cui gli infettati attingevano acqua.

Le dinamiche di propagazione

L’agire territoriale del CoViD-19 (SARS-Cov2) avviene a scale diverse ed è una delle cose più evidenti che abbiamo potuto osservare del virus. Tra focolai, diffusione e dinamiche “migratorie”, abbiamo scoperto l’esistenza di luoghi, anche remoti, le cui dinamiche ci interessano molto da vicino.

In moltissime parti del mondo sono stati rilevati focolai e, da quelli, la malattia ha seguito nuove dinamiche di propagazione locale per le quali è stato possibile notare una estrema variabilità nel manifestarsi. Attraverso due ancoraggi teorici, spazio e tempo, è possibile osservare una moltitudine di territorialità che denotano differenze anche in condizioni di prossimità. Considerando la spazialità come il modo di “abitare” il mondo costruito, cioè modificato dall’uomo, è infatti nell’interazione spaziale che si svolge il contagio e la sua velocità, il tempo, determinerà la portata della diffusione della malattia, in qualche modo in diretta competizione con le strategie messe in campo per contenerla.

Abitare e muoversi nel mondo iperconnesso

Il mondo contemporaneo è sempre più fortemente caratterizzato da un ambiente, come detto “costruito”, da processi di urbanizzazione e conurbazione inarrestabili in estrema competizione con gli ambienti naturali e semi-naturali, e da una elevata mobilità interna ed esterna ai territori. Luoghi distanti sempre più connessi e a una velocità sempre più elevata, che se da un lato amplifica, massimizzandola, l’interazione socio-economica, dall’altro diviene la backdoor per la rapida diffusione, come in questo caso, del virus.

Come sappiamo, la pandemia ha origine a Wuhan, una delle mega-cities per cui la Cina sta diventando rappresentativa dal punto di vista dell’espansione urbana e della conseguente concentrazione di popolazione; questa città rappresenta un’importante centro culturale, industriale e commerciale caratterizzato da una elevata interconnessione, un’estrema rapidità dei flussi di persone e merci, e una grande espansione economica. Quest’insieme di caratteristiche è probabilmente alla base dell’accelerazione dei contagi e della diffusione globale del virus: l’iperconnessione veicola con altrettanta rapidità anche gli agenti virali servendosi come vettore proprio delle merci e soprattutto delle persone.

Il caso italiano

Dalla provincia cinese dell’Hubei, ad oggi, pressoché tutte le nazioni sono colpite dalla diffusione pandemica del corona-virus. Questo dato è interessante perché, oltre a descrivere la dimensione reale del problema, servirà ad analizzare come è stata possibile un’altrettanta numerosità di risposte e strategie messe in campo per affrontare il fenomeno: dalla sottostima del problema al contrasto più efficace nella fase di emergenza.

Passando dalla dimensione globale a quella locale, l’approccio geografico applicato al caso italiano mette in luce diverse e interessanti questioni, da quella prettamente epidemiologica a quelle ecologica ed economica.

Abbiamo infatti potuto osservare il territorio nazionale diversamente da prima, con una netta separazione tra nord, centro e sud per una volta non dipendente dalle dinamiche di polarizzazione dello sviluppo economico e dalla marginalità derivante dal suo opposto.

Lascia quanto mai perplessi scoprire la fragilità dell’operoso Nord e la relativa “bonaccia” del ritardo nella diffusione al Sud. Come evidenziato da diverse ricerche svolte da università italiane e straniere, una delle possibili riflessioni porta a mettere in relazione l’inquinamento dell’aria nelle aree a maggiore sviluppo industriale con la diffusione del virus, sia dal punto di vista delle condizioni cliniche dei sistemi respiratorio e immunitario che possono essere compromessi dall’inquinamento, sia attraverso le evidenze scientifiche in merito alla maggiore diffusione del virus tramite le molecole di particolato (PM10 secondo le ARPA nazionali e PM2,5 secondo studi della Harvard University).

Virus e inquinamento

Il 23 gennaio 2020, Legambiente pubblicava il rapporto “Mal’aria di Città” che ci consegnava uno spaccato davvero impressionante sullo stato dei livelli di inquinamento di moltissime città e delle aree a maggiore sviluppo industriale. Prima ancora della diffusione del virus in Italia, si scopriva così che città e province come quelle di Bergamo e Piacenza (quest’ultima ha il maggiore numero di decessi per numero di abitanti), per esempio, avevano sforato per nove anni su dieci i livelli massimi fissati per legge delle percentuali di inquinanti presenti nell’aria (Lodi e Padova 10 anni su 10). Una carta geografica di mera sovrapposizione dei layer riguardanti i dati sull’inquinamento e sul numero dei contagi, restituirebbe una immagine impressionante per la sua semplicità di lettura della totale corrispondenza nel risultato finale.

Quali considerazioni è possibile fare, per non archiviare con troppa rapidità la nostra osservazione, è presto detto. Le condizioni d’emergenza legate all’inquinamento sono infatti tristemente note da decenni e la stessa orografia del territorio non aiuta la dispersione degli inquinanti.

La fuga dal Nord

Lo stato delle cose ha così ingenerato altre dinamiche, per così dire sociali, legate ai timori di contrarre l’infezione e di rimanere intrappolati nelle cosiddette zone rosse, istituite per limitare la diffusione del contagio. I flussi di popolazione che si sono così prodotti in controtendenza agli atavici movimenti migratori interni da Sud a Nord, vedono adesso masse di popolazione spostarsi in senso opposto, aggirando i divieti imposti per impedire di spostare il contagio in aree del Paese rimaste, in un certo senso, poco interessate dalla diffusione del virus.

Tali movimenti di popolazione hanno dato lo stimolo affinché geografi, urbanisti e architetti di chiara fama, potessero immaginare e proporre anche una successiva stanzialità di questa popolazione di ritorno, al punto tale da poter contrastare i fenomeni di spopolamento delle aree interne, soprattutto nel Mezzogiorno italiano.

La proposta non è passata inosservata e, nel giro di pochissimo tempo, l’Uncem e l’Associazione dei borghi d'Italia hanno risposto, rendendosi disponibili a trasformare in pratica una tale insperata opportunità. È chiaro che, unendoci a buon titolo alle riflessioni degli esperti, la rivitalizzazione dei borghi è centrale non soltanto in tempi di emergenza e necessita di un grande piano nazionale. A questo proposito, ben prima della pandemia, la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) aveva già posto le basi sulle quali tale dibattito potrebbe trovare un solido punto di partenza.

Da emergenza a opportunità

I molteplici cambiamenti con i quali ci dovremo confrontare sono senza dubbio problematici ma, se correttamente affrontati, potrebbero diventare una opportunità. Un nuovo lessico politico dovrebbe farsi strada affinché la lezione del CoViD-19 non vada sprecata, una “terza via” fondata su una nuova dialettica dal basso e che abbia le comunità locali al centro del dibattito sullo sviluppo locale.

Una fase di totale revisione, nazionale ed europea, delle politiche in cui termini come coesione territoriale, sostenibilità, economia circolare, abbiano finalmente un senso derivante dalla loro sperimentazione e applicabilità, dando seguito al Green new deal, come migliore strategia per il contenimento e la riduzione delle concause della pandemia: inquinamento ed estrema globalizzazione.

Gianni Petino

*Gianni Petino. Professore associato di Geografia economico-politica del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell'Università di Catania

 

 

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