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Nell’intervento del prof. Giuseppe Vecchio una riflessione sulle sfide poste all’Università dall’attuale crisi legata al Coronavirus
In questo periodo, molti ragionano sugli scenari presenti e futuri aperti dalla pandemia. Ognuno sviluppa considerazioni specifiche che muovono dal proprio osservatorio e prova a fare previsioni, a formulare auspici, a disegnare modelli (da quelli degli ombrelloni a quelli dell’organizzazione scolastica).
La crisi, la necessità di scegliere tra percorsi differenti (e, spesso, assolutamente divergenti) è talmente profonda da toccare tutti gli aspetti della vita quotidiana, istituzionale, economica, sociale e familiare.
Al di là dell’emergenza
Con questo intervento, desidero esprimere soltanto la mia necessità di andare con l’immaginazione al di là dell’emergenza e di provare ad aprire una modesta riflessione sull’incidenza della fase che stiamo vivendo come conseguenza di quello che avevamo appreso e sperimentato prima.
Allo stesso tempo, penso che sia opportuno cominciare a pensare a strategie organizzative e didattiche per affrontare una fase nuova e non facilmente immaginabile, della quale non siamo in grado di prevedere le condizioni di operatività e neppure la durata.
Quotidiane fragilità
L’avvento della crisi ha messo a nudo molti punti di fragilità della nostra vita quotidiana. Se ci fermiamo a considerare solo quelli della nostra esperienza, possiamo raggrupparli in due grandi categorie:
L’attività amministrativa ha subito l’improvvisa inversione dello schema organizzativo: da ordinariamente erogata in sede fisica è diventata ordinariamente erogata in modalità ‘agile’.
Ci sono ottime probabilità che l’ordinarietà transitoria del lavoro agile, sancita dal dl. “Cura Italia” (art. 87), si trasformi in ordinarietà permanente. “La sfida della PA di domani sarà quella di rendere lo smart working una solida realtà nell'organizzazione del lavoro pubblico. In queste settimane, per necessità, siamo stati costretti a intervenire massivamente e a velocizzare molti processi adattandoci alle esigenze imposte dal Covid, con ferma in mente l'idea che la Pa non potesse fermarsi né arretrare. Abbiamo acquisito un bagaglio di conoscenze importanti che non possiamo far deperire. Con le sigle sindacali - ha sottolineato Dadone, Ministro per la PA- stiamo individuando gli strumenti migliori per far sì che un cambiamento improvviso possa trasformarsi in una rivoluzione permanente".
Permanente ordinarietà
Per conseguire l’obiettivo di una Pubblica Amministrazione dematerializzata, tuttavia, è necessario avere acquisito una mentalità adeguata. In molti ambiti della P.A. in quindici anni, il Codice dell’Amministrazione Digitale (Decreto legislativo 07/03/2005 n° 82 e ss.mm.ii.) è stato ritenuto un testo per iniziati e, soprattutto, un fastidioso orpello da evitare con cura.
Buona parte degli effetti economici dannosi indotti da COVID19 discendono proprio dall’antico male di respingere pregiudizialmente l’innovazione. Il risultato è che ci sono amministrazioni che non riescono a lavorare, amministrazioni che impongono il lavoro in presenza (ad alto rischio), amministrazioni e loro interlocutori (funzionari, utenti, ecc.) che non hanno idea dell’uso di strumenti semplici e banali come, SPID, il protocollo elettronico, l’archiviazione in cloud, la firma digitale (che pure possediamo in tanti, ma immaginiamo che sia un strumento di portata limitata, poco utile e, soprattutto, fastidioso per l’esatta documentazione di data e ora: vuoi mettere un bell’autografo, espressivo della personalità?!).
Il fronte della sperimentazione
Lavoro con un prezioso gruppo di Collaboratrici e Collaboratori che, da anni, sperimentano l’applicazione del Codice dell’Amministrazione Digitale, che da anni subiscono incomprensioni, che stanno dando il meglio di loro nella sperimentazione di applicazioni avanzate. Mi chiedo cosa sarebbe successo se un visionario straordinario (purtroppo scomparso) come Renzo Vita, nel lontano 1997, non avesse inventato il sistema di gestione elettronica di esami e segreterie, con la sua piccola squadra di tecnici esperti e generosi.
Eppure, quante resistenze!
Per avere un’idea, pensate pure all’arretratezza del sistema, semimanuale, di gestione delle prescrizioni mediche e al potenziale di contagi riconducibile alla frequentazione degli studi degli eroici medici di famiglia.
Una scossa alla didattica
L’attività didattica, a sua volta, ha subito una robusta scossa dalla crisi. Su questo terreno, gli strumenti e le resistenze, purtroppo, sono ancora più consistenti di quanto non sia successo per l’attività amministrativa. Possediamo da anni potenti piattaforme di teledidattica (StudiumUniCt, e non solo) che abbiamo utilizzato per una parte (quantitativamente e qualitativamente) minima delle loro potenzialità. Abbiamo dovuto fare ricorso, invece, ai potenti mezzi di Microsoft per affrontare la crisi. Anche in questo caso, tuttavia, stiamo usando gli strumenti disponibili al minimo delle loro potenzialità, quasi come strumenti per video chiamate di gruppo.
Qualunque sia la fase del post-emergenza, è necessario che sappiamo usare gli strumenti disponibili al pieno delle loro potenzialità, riadattare le nostre abitudini e le nostre abilità, verificare se molte considerazioni che abbiamo espresso (e continuiamo ad esprimere) sulla teledidattica non abbiano un fondamento ulteriore rispetto a quello del cattivo esempio e della cattiva didattica di molti atenei telematici: quello della nostra resistenza all’innovazione e (purtroppo) alla prova dell’evidenza dei nostri limiti (da quello della puntualità a lezione, a quello della non ripetitività delle domande d’esame), crudamente rappresentata dalla formalizzazione e dalla tracciabilità dei sistemi elettronici.
Custodi o reattivi?
Un discorso analogo si potrebbe fare per le possibilità di svolgere attività di ricerca (almeno di quella che non esige laboratori materiali) da remoto, consultare testi e opere rare, accedere a banche dati, ecc. Anche su questo terreno, la crisi ci pone davanti alla responsabilità di scegliere se continuare ad essere custodi di biblioteche cartacee (con tutto quello che esigono) o accettare la sfida di leggere dal tablet. Anche su questo terreno, dovremo renderci conto di quanto sia ridicolo misurare la scientificità di una rivista dalla materialità (o dematerialità) della sua edizione.
È vero che stiamo correndo il rischio di brutali processi di globalizzazione culturale. È, purtroppo, vero che la globalizzazione ci aggredisce, persino, in forma ‘virale’ (in tutti i sensi). A noi la scommessa di sapere reagire in positivo: «Chi è capace di conseguire la vittoria adattando la sua tattica in base alla situazione del nemico, quegli può dire di possedere un’abilità superiore» (Sun Tzu).
*Giuseppe Vecchio, ordinario di Diritto privato, direttore del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell'Università di Catania